sabato 7 gennaio 2017

#JESUISFIDEL: DIARIO DI VIAGGIO NELLA CUBA DEL LUTTO

ARRIVO NELLA CAPITALE SOCIALISTA, 1-2 DICEMBRE 2016

"La tristeza de todo nuestro pueblo es muy grande...gracias por compartirla."
Foto di Paola Rivetti
Siamo stati accolti con queste struggenti parole sull'isola cubana, nella settimana più triste e desolata del suo popolo dopo la scomparsa del Comandante en Jefe Fidel Castro Ruz, al potere dal 1959, anno della cacciata del fantoccio yanqui Fulgencio Batista. Le strade sono vuote, il Malecon (lungo mare di Habana culla del divertimento barato della popolazione locale) privo di danzatori, birra, ballerine e voglia di fare festa. Dove sono i cubani? In piazza, a migliaia, giovani e meno giovani, nonni e nipoti secondo l'immagine che ci riporta il Granma (e la TV, sempre sintonizzata sulla storia di Fidel in ogni luogo pubblico), ad ogni tappa della carovana Habana-Santiago del corpo del Comandante en Jefe. "Todo el pueblo!" ha esclamato forte il taxista mentre ascoltavamo insieme la diretta di Radio Rebelde da Camaguey. È difficile trovarsi a descrivere l' atmosfera compassata dell'isola che sogni di visitare da vent'anni per mille motivi, tra cui lo stereotipo della allegra vitalità intrinseca allo spirito caraibico. Ed invece ti trovi, con rispetto, deferenza ed onore (e una marea di brividi lungo la schiena nel momento in cui le tue tremanti mani sorreggono una biografia autografata direttamente da Fidel), nel CDR (Comite de Defensa de la Revolucion) a vivere con empatia i racconti di una delegada e del marito, che cerca di affrontare con contegno la scomparsa di un amico caro. È una capitale altalenante quella della settimana del lutto: c'è il commento così irriverente da risultar blasfemo di Fernando "Da lunedì non ci sarà più Fidel, e qui sul Malecon ricominceremo a ballare la salsa" (unico nel suo genere macabro), o l'invito di alcuni camerieri delle paladares (i ristoranti prodromi di iniziativa privata) a vìolare l' astinenza da bevande alcoliche (servono solo vino però, niente ron e birra, sarà per la loro intrinseca "cubanità"?) imposta dal lutto, ben coscienti della pressoché totale indifferenza dei visitatori ad esso (all'Hotel Nacional si beveva mojito in giardino a mezzogiorno come se nulla fosse).
Molto più interessante (e a suo modo divertente) la comune reazione dei cubani (dal CDR alla casa particular ai numerosi taxisti ai passanti della calle) alla fatidica quanto maccheronica domanda da occidentale: “que pasará ahora?” Cosa succederà adesso? Sgranano gli occhi, allargano le braccia, accennano un sorriso quasi di scherno nei confronti della tua ingenuità, ti fissano intensamente ed espirano in un sol colpo: "Niente! Assolutamente niente!" Continueranno ad essere la migliore sanità pubblica del mondo, a vivere senza mutuo sulla casa (state pensando ai vostri 30 anni di debito vero?), ad essere culla di cultura per tutti e regalare l'università ad ogni giovane: lo dicono con malcelato orgoglio, e sono andati a ribadirlo nei diversi uffici sparsi per il Paese, firmando il "giuramento sulla Rivoluzione" (anche qui a milioni). Noi siamo quelli lì, celando (ed ignorando) le contraddizioni da un lato, esaltandole nella rincorsa al peso convertibile (la moneta "parallela" utilizzata dai turisti) dall'altro, ma senza alcuna volontà esplicita di farle esplodere quelle contraddizioni.

SABATO 3 DICEMBRE: LA CORSA VERSO IL FUNERALE
Le immagini di Fidel scorrono nelle gigantografie ovunque per strada, rimpallano nei documentari storici in TV e nelle radio. "E' stato tutto così veloce che non abbiano avuto tempo di accorgercene" dice la nostra nuova amica Anna, come se stesse parlando del nonno o dello zio deceduto di colpo. Con la differenza che Fidel è il parente-Comandante che viene glorificato e rispettato, a prescindere, da tutti (tranne gli Stati Uniti, che hanno continuato a far sventolare ben in alto le loro bandiere in quella che è la loro sorta di ambasciata a La Habana). Un Comandante che continuerà a vivere secondo il motto urlato ad ogni incontro di piazza "Yo soy Fidel!", che non può non ricordarci tanto i nostri #jesuisqualcosa, seppur in contesti così tanto diversi. Un immedesimarsi talmente forte che leggenda narra di companeros morti di infarto alla notizia della dipartita del Comandante: sembra esser stata questa la sorte di una vecchia attivista, amica così fraterna ed influente da essere definita la "Fidel in gonnella". Troppo doloroso immaginarsi un futuro personale e di Cuba senza Fidel Castro Ruz, l’uomo sempre e comunque in prima linea, dalla impresa militare della Baia dei Porci alla discesa in piazza ad opporsi alle manifestazioni contro-rivoluzionarie del periodo especial negli anni ’90 (così ce lo ha descritto una sera Omar, cinquantenne con l’effige di Che Guevara sul polpaccio e tanta voglia di chiacchierare bevendo rum sulla sua terrazza).
Foto di Paola Rivetti
Non tutti però sembrano aver accolto la morte del Comandante con tale trasporto di empatia, e l'abbiamo scoperto nel modo più paradossale possibile. Diciamolo subito, il funerale di domenica mattina ce lo siamo persi, evitiamo di amplificare l'attesa di uno spannung che non arriverà mai. Il nostro volo è rimasto in sospeso da sabato pomeriggio a domenica pomeriggio, 24 ore di attesa e speranza di riuscire ad arrivare a fare l'estremo saluto al Comandante. Abbiamo visto solo in TV l'evento finale della carovana funebre nella piazza di Santiago, gomito a gomito con un nugolo di giornalisti che battevano sui loro pc l'emozione dei cubani presenti in Plaza Antonino Maceo, mentre quelli in carne ed ossa alle loro spalle sbadigliavano sui sedili del gate dell'aeroporto di Habana: non si vola durante la celebrazione, aeroporti bloccati a favore delle diverse autorità internazionali e cittadini "costretti" all'immobilismo davanti alla televisione. "Raul, anche noi siamo compatrioti però ci hai abbandonato qui all'aeroporto!" ruggisce una giovane cubana dai folti ricci alle mie spalle, svegliando il fidanzato completamente disinteressato da tutto. Altri cubani passeggiano lontano dallo schermo, molti vanno alla ricerca di monetine per avvisare le famiglie dell’ennesimo procastinarsi della partenza. Insomma, tra i presenti gli unici partecipi sembrano essere i "turisti del socialismo": francesi, italiani, canadesi, newyorchesi arrivati fin qui per unire l'omaggio a Fidel a qualche giorno di vacanza. La celebrazione pubblica in TV è toccante, Raul Castro urla tutto il suo dolore e la sua determinazione, sfogando di trachea la rabbia che tiene in corpo: "Si se puede, si se podrà!" (Frase che ci siamo prontamente tatuati in osservanza della regola “cada viaje un tatuaje”). Ecco da dove ha colto l'ispirazione il Compagno Pablo Iglesias! Finita la manifestazione di piazza, verso le dieci di sera circa ci comunicano che non si vola a Santiago finché non finiranno i funerali: si dorme in un hotel a 4-5 Stelle.
Gli occidentali si distruggono per l'appuntamento (mancato) con la Storia, i cubani festeggiano per l'appuntamento aggratis con il Capitalismo.
Una notte di bagordi, di mangiate pantagrueliche, bottiglie di rum e lattine di birra ovunque. Un albergo anni '50 con una fatiscente sala pranzo con mega vetrate che affacciano su una vecchia piscina circondata dalle palme: questa notte abbiamo assistito ad un metaforico passaggio di consegne delle voluttà dagli antichi dominatori yankees agli abitanti del luogo, che si godono la festa alcolica a spese della compagnia aerea mentre sulla stessa isola a 800 km di distanza stanno seppellendo il Comandante en Jefe. Si potrebbe scrivere un libro su questa nottata, una bella distopia socialista in stile Ballard. I cubani mangiano e bevono, mentre noi ci ritroviamo con un' agrodolce sensazione di ritrovarci nel posto sbagliato al momento giusto.

DOMENICA 4 DICEMBRE, IL GIORNO DEL SILENZIO
Arriviamo finalmente a Santiago nel tardo pomeriggio: alle nove del mattino Fidel è stato seppellito di fianco a Josè Martì, la televisione non ha trasmesso nessuna immagine. Rimane da vivere solo il silenzio completo della città: la capitale della musica, della Storia, del sincretismo culturale e razziale che solitamente esplode festosamente per le strade, ci accoglie nel lutto completo. Un silenzio surreale, impossibile anche solo da immaginarsi. Un raccoglimento che cancella nella nostra mente la festa della sera prima, mentre il taxista con auto sovietica ci racconta la sua partecipazione alla guerra di liberazione in Angola. Un bel modo per riconciliarci con l'ideale socialista dell'isola: "Senor, ci sono tanti Fidel, tanti Raul, tanti Chavez qua per la strada. No paserà nada ahora. Fidel vive!" E buonanotte.

LUNEDI 5 DICEMBRE, UNA FLOR PARA FIDEL
Foto di Paola Rivetti
Dopo un giorno e mezzo di viaggio, lunedì mattina al risveglio riusciamo finalmente a giungere all’epicentro della Storia mondiale di questo fine 2016: cimitero Santa Ifigenia, tomba di Fidel Castro, che altro non è se non una grande pietra con la sola scritta "Fidel" posta tra il mausoleo dedicato a José Marti, padre dell'indipendenza, e il monumento ai martiri del 26 luglio 1953. La coda per il primo appuntamento pubblico di omaggio al Comandante è infinitamente lunga, raccolta ed immensa: donne vestite di bianco che portano il lutto dentro di sé, turisti curiosi, occidentali con le Ralph Lauren che fanno il saluto militare in lacrime davanti al pietrone, una marea di cubani che portano semplicemente la loro triste determinazione al cospetto del Capo, quasi a voler ribadire che saranno loro a continuare ad essere artefici del loro destino. Ci riconciliamo coi “formalismi” governativi che ci hanno impedito di volare incontrando per caso la direttora del cimitero, che ci accoglie in un elegante sorriso accompagnato da una lunga chiacchierata: “è una grande emozione ed onore per me poter custodire il corpo dell'uomo che permette a me ed al mio popolo di vivere nel sogno cubano. Qua le donne vengono rispettate e valorizzate, ed io ne sono la prova. Grazie companeros italiani per aver portato un fiore al nostro Comandante en Jefe.”
Ed i brividi lungo la mia schiena continuano a scorrere imperterriti da giorni.

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