mercoledì 29 giugno 2016

SISTEMA TORINO INCONTRA TOMASO MONTANARI
: “GRANDI EVENTI? LE CITTA’ NON SONO UN CIRCO EQUESTRE “

Tomaso Montanari è un faro illuminante della cultura e della conservazione dell’arte in Italia. 
E’ un sistemista ad honorem per come si tuffò a sostenere la nostra produzione teatrale “Exporto 2022”. 

E’ un fiorentino che confuta quotidianamente lo storytelling renziano. 
Insegna Storia dell’Arte Moderna all’Università ‘Federico II’ di Napoli, ha scritto alcuni libri che raccontano come la storia dell’arte si sia trasformata da sapere critico a industria dell’intrattenimento ‘culturale’. 
Data l’importanza che questi concetti e parole-chiave hanno rivestito nelle ultime elezioni comunali torinesi, abbiamo subito pensato di andare da Tomaso, che ringraziamo profondamente per l’onore che ci ha concesso.

martedì 28 giugno 2016

ARCHIVIATO - L'obbligatorietà dell'azione penale in Valsusa

Amici sistemisti vi segnaliamo la presentazione del documentario "ARCHIVIATO - L'obbligatorietà dell'azione penale in Valsusa" che si terrà a Torino martedì 5 luglio 2016 alle ore 20.30 alla GAM.
Dopo la proiezione ci sarà un dibattito con gli interventi di: Marco Revelli e Enrico Zucca, magistrato, già PM nel processo Diaz, G8 di Genova. Coordina il nostro amico Maurizio Pagliassotti. 
Crediamo che sia importante vedere questo documentario per toccare con mano - soprattutto per il pubblico torinese troppo distante dalla Valle - che cosa accade all'interno delle aule del Tribunale di Torino.

Il video, che ha fruito della collaborazione, tra gli altri, di Elio Germano come voce narrante, nasce dall'esigenza di raccontare uno dei molteplici risvolti giudiziari legati alla lotta popolare valsusina. 
Come in tutte le aree di acuito conflitto sociale la contrapposizione, ed a volte lo scontro fisico, tra coloro che protestano e le forze dell’ordine determina l’intervento dell’Autorità Giudiziaria chiamata a perseguire gli autori di condotte violente o comunque illecite da chiunque agite, manifestanti o agenti di polizia.
L’art. 112 della Costituzione sancisce che “il Pubblico Ministero ha l’obbligo di esercitare l’azione penale”: ciò significa che la Procura è tenuta ad indagare su ogni notizia di reato venga denunciata o giunga alla sua attenzione e che ha poi il dovere di chiedere al giudice di verificarne, in un pubblico processo, la fondatezza.
Tale principio è posto a garanzia dell’uguaglianza dei cittadini ed ha lo scopo dichiarato di eliminare ogni possibile valutazione discrezionale del Pubblico Ministero sulle notizie di reato che pervengono alla Procura della Repubblica.
Naturalmente tale imprescindibile obbligo trova un ovvio e giustificato temperamento nella possibilità del Pubblico Ministero di richiedere l’archiviazione di un procedimento penale tutte le volte in cui le indagini che ha svolto abbiano accertato l’infondatezza della notizia di reato o l’impossibilità oggettiva di attribuirla ad un autore.

L’idea del filmato nasce dalla constatazione di come gli illeciti commessi da agenti e funzionari di pubblica sicurezza ai danni di manifestanti o fermati, ampiamente documentati dai media, non determinino i medesimi esiti giudiziari di quelli commessi dai manifestanti.

Nel contenuto ma emblematico contesto valsusino tale discrasia assume caratteri macroscopici: centinaia di denunce e procedimenti penali avviati nei confronti di attivisti e simpatizzanti del Movimento Notav, anche e soprattutto per reati bagatellari, trovano immancabile sbocco in processi e sentenze, mentre le decine di querele, denunce ed esposti per gli abusi compiuti dalle forze dell’ordine, anche gravemente lesivi dei diritti e dell’incolumità dei manifestanti, non sono mai giunti al vaglio di un processo.

Il documentario “ARCHIVIATO. L’obbligatorietà dell’azione penale in Valsusa” affronta dunque il delicato tema della tutela giudiziaria delle persone offese dai reati commessi dagli agenti e dai funzionari appartenenti alle varie forze dell’ordine e per farlo si avvale di immagini e documenti, per lo più inediti.
Il filmato, all'inevitabile e drammatica rappresentazione delle violenze subite dai manifestanti nel corso delle operazioni di ordine pubblico condotte dalla polizia in Valsusa, fa seguire la narrazione del successivo iter processuale sino al suo disarmante e preoccupante epilogo.

Il lavoro è stato realizzato con il patrocinio di cinque associazioni: Controsservatorio Valsusa; Antigone - per i diritti e le garanzie del sistema penale;    A buon diritto - associazione per le libertà;   Associazione Nazionale Giuristi Democratici; L'altro diritto - Centro di documentazione su carcere, devianza e marginalità. 






lunedì 27 giugno 2016

DA DOVE NASCE IL BREXIT? - Viaggio a Birmingham, con uno sguardo verso Torino

Vi proponiamo il contributo di Cecilia Vergnano che ha voluto condividere con noi le sue riflessioni su Brexit e dintorni.

Cecilia Vergnano è membro di OACU (Observatori d'Antroplogía del Conflitcte Urbá) e di GRECS (Grup de Recerca sobre Exclusió i Control Social) dell'Università di Barcellona



Alle 7.30 del mattino del 23 di giugno un viavai di gente percorre la passerella per alla stazione di Bourneville, a pochi chilometri dal centro di Birmingham, per prendere il treno locale che li porterá al lavoro. Una donna sulla quarantina all'entrata della stazione distribuisce volantini che invitano a votare remain. More jobs, lower prices, worker's rights protected, a stronger future, sono gli slogan riportati sul volantino che riassumono sinteticamente le ragioni del remain: your vote can make a difference, si aggiunge poi, don't let someone else decide your future. È curioso, penso tra me e me, perchè sono esattamente gli stessi argomenti dei partidari del leave


Passeggiando da sola per Birmingham, mi avventuro verso la periferia, mossa da una vaga sensazione di essere catapultata di colpo in un film di Ken Loach. Finisco così nel working class neighborhood di Aston, una distesa di casette di due o tre piani, le classiche terraced houses monofamilari dei quartieri operai inglesi, un po' sgangherate, di mattoni rossi e dai piccoli giardini. L'atmosfera che percepisco intorno a me è strana; in realtá, non riesco ancora a definirla. Non sento lo stesso malessere e la stessa desolazione che ho sentito passeggiando per le banlieu parigine, non vedo la stessa massificazione che ho visto negli enormi condomini cadenti dove migliaia di famiglie vivono concentrate come in giganteschi alveari. Ma i mucchi di spazzatura in certi angoli delle strade, l'odore pungente di vernice emesso da qualche stabilimento nelle vicinanze, le grandi distese di ferrovecchio, pneumatici e carcasse degli scrapyards tutto intorno alla zona residenziale, mi lasciano pensare che Aston non dev'essere un quartiere tra i più benestanti di Birmingham. Inizio a capire, guardandomi intorno, che è più facile pensare che il Brexit sia una soluzione quando non si ha molto da perdere. 
Sempre passeggiando per Aston scopro, non senza un certo disappunto, che il mio immaginario stereotipato di una british working class bianca non corrisponde affatto alla realtà – almeno non a Birmingham, una città nella quale le differenze di tipo “etnico” o “culturale” sono all'ordine del giorno. Incrocio un paio di uomini dalla pelle bianca che soddisfano le mie categorie mentali alla Ken Loach - maglietta bianco sporco e tuta blu, l'aria di rientrare a casa dopo una giornata di lavoro pesante. Ma nel cortile della scuola locale (sono le 4 del pomeriggio) non vedo un solo ragazzino, tra quelli che giocano a pallone, con la pelle bianca. Per strada le donne e gli uomini che passano sono quasi tutti di origini africane, jamaicane, arabe, asiatiche.

Non mi stupisco quindi il giorno dopo quando, alla opening lecture della conferenza universitaria per la quale mi trovo a Birmingham, la sociologa Gurminder Bhambra critica duramente la “costruzione dell'identità britannica” come identità “bianca”. “Why when we think about 'British identity' we think to white men? Why when we think about 'British working class' we think to white workers?” chiede provocatoriamente dal microfono al centro della sala. Si tratta della seconda conferenza internazionale su Superdiversity, un concetto che sta riscuotendo un certo successo nelle scienze sociali e che sta iniziando a essere usato anche da alcuni politici e giornalisti in sostituzione del vecchio concetto di “multiculturalità”, ormai, a quanto pare, già sorpassato. La Superdiversity fa riferimento al processo in atto di “diversificazione all'interno della diversità”. La prima volta che ho sentito parlare di questo concetto, mi è stato spiegato così: “per dire, quando vai a Londra e ti ritrovi dentro un quartiere dove gli unici bianchi sono polacchi recentemente immigrati senza cittadinanza britannica, e gli unici cittadini britannici sono tutti originari dei paesi del Commonwealth e nessuno di loro ha la pelle bianca.” Bhambra aggiunge, al microfono, che non esiste nè è mai esistita una Gran Bretagna indipendente, e chi la rimpiange sta in realtà cancellando con una pennellata secoli e secoli di storia: la Gran Bretagna è sempre stata parte di qualcosa di piú grande, che fosse l'Impero, il Commonwealth o l'Unione Europea. Inutile dire che nell'ambiente cosmopolita universitario le preferenze si orientano indiscutibilmente per il remain – ancora una volta, penso tra me e me, come comunità di intellettuali abbiamo ottimi argomenti ma siamo assolutamente incapaci di farli circolare al di fuori del nostro circuito ristretto. 

Al ritorno dalla conferenza, Edward, il ragazzo di Birmingham che mi ospita in questi giorni per la conferenza, mi chiede di accompagnarlo ai seggi. Mancano pochi minuti alla chiusura. Edward Genochio, 38 anni, nato in Belgio e con lontane origini italiane, non è proprio un tipo qualsiasi: adesso conduce una normalissima vita lavorando per una compagnia di servizi informatici, ma da giovane è stato il primo cittadino britannico a compiere l'eccezionale impresa di raggiungere la Cina in bici partendo dalla Gran Bretagna, attraversando l'Europa, gli Urali e passando dalla Mongolia. Ancora prima ha studiato Antropologia Culturale e Geografia all'Università di Cambridge. Le conversazioni con lui in questi giorni sono state brillanti e ricche di stimoli: è una persona colta, open-minded, vivace e curiosa. È stato dunque sorprendente scoprire la sua intenzione di voto per il leave. Camminando verso i seggi, mi spiega che crede nell'Europa, ma non crede nell'Unione Europea. E che se al referedum dovesse vincere il remain, le autorità europee non modificherebbero di una virgola le loro politiche economiche antisociali. Il suo leave è, a modo suo, un voto “di sinistra”, o quantomeno di protesta. 

Dentro alla scuola di mattoni rossi, i membri del seggio ci raccontano della grande affluenza che c'è stata durante la giornata. Sotto gli ultimi raggi di sole del tramonto, si procede a poco a poco a smontare ci si prepara per la lunga notte dello spoglio.
E in effetti è una notte lunga e poco riposante. Mi sveglio alle 6 del mattino con un biglietto di Edward (che si è svegliato ancora prima di me) sotto la porta di camera mia: “Looks like Brexit!!!”, dice, “48% remain, 52% leave. Keep your €!! They will make you a ₤ millionaire! :-)”



Birmingham è tra le poche città britanniche in cui ha vinto il leave. Londra, Liverpool, Manchester, Bristol si sono espresse in maggioranza per il remain. Non posso fare a meno di collegare questo dato con la visione degli ettari ed ettari di terreno industriale, chi iniziano già a pochi isolati dal centro della città. È questa la caratteristica più impattante di Birmingham, ovunque si passeggi (non solo nel centro), e la domanda che mi scava dentro come un tarlo è: com'è stato possibile riconvertire l'economia di questa città? Dove sono andate a finire le migliaia di persone che lavoravano nelle fabbriche? Davvero è stato possibile riconvertire tutta la manodopera non qualificata dell'industria in posti di lavoro nel settore dei servizi e del terziario? I dati statistici rivelano che in effetti a Birmigham la disoccupazione non è altissima (6,2%), ma è superiore a quella di Manchester, Bristol e Liverpool, ed è pressapoco il triplo del tasso medio di disoccupazione nel Regno Unito. 
Le fabbriche e le industrie dismesse adesso non sono nient'altro che spazio, spazio vuoto. Spazio che si è riconvertito anch'esso in merce: “Si affittano magazzini” si legge sulla facciata di un vecchio stabilimento, “Spazio in affitto”, si legge su un'altra: “to let”, “to let”, “to let” pare un leitmotiv costante quando si leggono i cartelli tutt'intorno alle vecchie fabbriche e ai capannoni in disuso.

Si è ampiamente riflettuto, negli ultimi due giorni, sul significato sociologico di questo risultato elettorale. Si è parlato di una nazione spaccata in due, divisa in termini generazionali, culturali e di classe, con i “loosers” della globalizzazione da una parte e “winners” dall'altra. Quelli che sentono di non avere granché da perdere, da una parte, e quelli hanno dei capitali, una carriera o un percorso di mobilità sociale ascendente da difendere. 
Avendo seguito con attenzione le ultime vicende elettorali in Italia e la “inaspettata” scalata dei governi locali da parte dei 5 Stelle, non posso fare a meno di notare un certo parallelismo per quanto riguarda il carattere inatteso e inaspettato di questi risultati elettorali. Nonostante la forte componente xenofoba e anti-immigrazione dei partidari del leave (tra cui molti tra gli stessi immigrati, che assecondano dinamiche di “primi arrivati” contro “ultimi arrivati”), i Brexiters non sono una massa indifferenziata di razzisti, così come I 5 Stelle non sono una massa indifferenziata di destroidi. La xenofobia e la nostalgia per l'Impero sono indiscutibilmente alla base di molte preferenze di voto nel caso britannico, ma lo sono anche i reclami che riguardano l'accesso alla casa e al lavoro, i salari bassi, i tagli alle politiche sociali e al sistema sanitario ed educativo, l'incertezza per il futuro, e la sensazione generale che il progresso e la prosperità promessi governo dopo governo sarebbero stati per “loro” e non per “noi”. Questo “loro” e questo “noi” altro non sono che gli indicatori delle diseguaglianze sociali, che l'imposizione delle politiche neoliberiste a partire dagli anni 80 ha progressivamente contribuito ad accrescere. Cosí come la vittoria dei 5 Stelle a Roma e a Torino si presenta come un indicatore chiaro della breccia tra quartieri tradizionalmente benestanti e quartieri gentrificati, da un parte, e periferie per troppo tempo abbandonate, dall'altra. Anche se ci sono poche possibilità che questo slittamento populista dia corso a politiche redistributive realmente capaci di ridare voce e opportunità a chi è stato in questi anni sempre più marginalizzato, il messaggio di malcontento e di sfida è chiaro. Lo stupore dei partiti tradizionalmente al governo, e soprattutto di ciò che rimane del centro-sinistra, davanti all'avanzata di queste rivendicazioni dal basso, tanto in Italia come in UK, si presenta come particolarmente fastidioso e arrogante. È molto facile tacciare le masse di ignoranza e irrazionalità dopo decenni in cui si è fatto di tutto per depoliticizzarle, smobilitarle, infantilizzarle.  

Appunto perchè ben lontana dalla tentazione di esaltare questi risultati elettorali come un ritorno di una certa coscienza di classe, considero importante ricordare cosa succede quando questa coscienza di classe viene assopita o annichilata. L'antropologia ci insegna che le relazioni sociali si costruiscono sempre a partire da costruzioni identitarie, che creano coesione all'interno dei gruppi umani. Senza voler idealizzare le condizioni di lavoro infami che hanno caratterizzato per decenni o per secoli la vita dei lavoratori delle miniere e delle fabbriche, è innegabile che l'orgoglio, il riconoscimento sociale e il senso di solidarietà di gruppo che l'identità di minatore o operaio genera possono apparire di gran lunga preferibili a quelli di un'identità da disoccupato o precario. Ma mentre vecchie distinzioni di classe sono state progressivamente disattivate, delle nuove categorie identitarie sono andate progressivamente attivandosi. Queste derive identitarie possono manifestarsi a diversi livelli (a livello di quartiere, a livello nazionale, ma anche a livello globale), includono le derive di tipo etnico o religioso o quelle mafiose (soprattutto in contesti di quartiere) e possono arrivare fino al terrorismo. 
La nostalgia per il grande Impero Britannico e la riattivazione dell'identità britannica altro non è che il risultato dell'incapacità (o della mancanza di volontà) della classe al governo di riportare la questione sociale (ovvero la questione della ridistribuzione della ricchezza) su un'arena propriamente politica, sublimando tale questione in narrazioni distorte. Dalla parte opposta, un'altro tipo di deriva (il fondamentalismo neoliberista della Banca Centrale Europea e dei mercati finanziari che dettano legge in Europa) esaspera la questione e non aiuta a riportare il conflitto sul terreno della politica nel senso tradizionale del termine. 
Tanto a Torino come a Birmingham gli ettari ed ettari di terreno industriale abbandonato ci parlano di un'autentica guerra che si è combattuta in tempi di pace, e che ha lasciato dietro di sè macerie e disastri sociali. Capannoni deserti e “generazioni perdute”. 

Quando ci salutiamo prima che io parta, Edward mi chiede un'ultima cosa. “Per favore, quando torni a casa, spiega al mondo là fuori che noi inglesi non abbiamo niente contro di voi. È una lezione che volevamo far pagare ai nostri politici e ai politici europei. Non so se ci riusciremo.” Provo, per quel che posso, a riferire il messaggio.

Cecilia Vergnano

venerdì 17 giugno 2016

BALLOTTAGGIO: LA GUERRA FREDDA DI CIVILTA'


IL SISTEMA VERSUS I BARBARI
Il Direttore de “La Stampa” ha ragione: il ballottaggio per il Sindaco di Torino vede in campo due limpide ed opposte visioni della città. L’ha detto durante il confronto al Teatro Carignano ed è stata la miglior fotografia della campagna elettorale. Ha ragione anche quando chiede a Fassino se sta difendendo il Sistema Torino: ma questa è solo una battuta auto-celebrativa per cui andiamo oltre.
Abbiamo vissuto un mese di scontri violenti, di battaglie verbali all’ultimo sangue tra sordi, di barricate erette in nome del possesso della Verità Assolute. Il motivo? Probabilmente entrambi sono così convinti della propria Weltanschaung (sì, potevamo dire visione del mondo ma Zagrebelsky cita Hegel, Asor Rosa fa elucubrazioni pindariche per cui volevamo adeguarci anche noi) che non riconoscono nell’avversario una legittimità propria. Illuminante in tal senso è stato il post di Ilda Curti in cui ha illustrato la differenza tra doxa ed episteme, ovvero tra opinione e conoscenza. La via semplificatoria, soprattutto dell’idea dell’altro, è stata una scorciatoia spesso utilizzata dagli attori in gioco: “La vostra proposta non sta in piedi!”, oppure “Difendete solo il vostro posto di lavoro!”, fino all’immancabile fascisti. Ecco, diciamolo subito: giocare alla militanza anti-fascista è deprimente. Lasciamo riposare i partigiani in pace, perché mojito&mortaio è un’immagine imbarazzante da visualizzare mentre lanciate i vostri strali da un locale gentry.
Tornando a noi, diciamo subito che entrambi i candidati sono portatori di modelli di sviluppo coerenti, che hanno una base teorica (basta leggere Belligni-Ravazzi sui regimi urbani per capirlo), ed anzi è proprio questa l’origine dell’astio reciproco. Doxa ed episteme sono presenti da ambo le parti e, forse, è proprio questo ad aver portato alla spaccatura della città in due fazioni sulle barricate. Dopo vent’anni di monolite senza alcuna opposizione, riteniamo però che questo sia un bene: al ventennale del piano regolatore, Chiamparino si vantò ai microfoni dell’inesistenza di visioni alternative a quella dominante considerandolo un pregio. Ed invece no, caro Presidente della Regione: con la questione “democrazia” come la mettiamo? Il principio dell’alternanza è qualcosa di molto diverso, e per fortuna non vi sono i cosacchi alle porte della Città Metropolitana in attesa di invaderci domenica notte.
Per questi motivi, sull’onda dei temi che Sistema Torino ha maggiormente trattato in questi anni, proviamo a ricondurci ai programmi di Piero Fassino e Chiara Appendino per come ce li hanno raccontati negli incontri pubblici di confronto, cercando di mettere un po’ d’ordine. Anche e soprattutto per noi stessi. 

POVERI E PERIFERIE
 Quando Fassino ha negato il dato Caritas sull’esistenza dei cento mila poveri in città ha scatenato un cataclisma, favorendo indirettamente la Appendino: aldilà del numero di per sé (che può variare a seconda se si prenda in considerazione il solo Comune o la Città Metropolitana tutta), il Sindaco uscente non ha voluto riconoscere l’esistenza di due città (quella del centro e quella invisibile delle periferie secondo l’Arcivescovo Nosiglia) ma anzi ha citato la crisi come principale deterrente alle azioni in campo sociale della sua Amministrazione. Sulla scorta di queste premesse, la candidata a cinque stelle ha avuto gioco facile a concentrare i propri sforzi proprio sulle periferie abbandonate: l’attenzione certosina ai giri elettorali nei mercati rionali di ogni quartiere (dai quali non si è sottratto neanche Fassino per onor del vero) ne sono un indicatore evidente.
Sistema Torino ha raccontato spesso il disagio delle periferie, perfettamente racchiuso nei dati annuali del Rapporto Rota della Fondazione Einaudi: una sintesi plastica di esso è stato lo sgombero dei senza casa alla Falchera di questa settimana (di cui nessuno dei due ha parlato direttamente). Torino capitale degli sfratti è una delle emergenze cittadine che gridano vendetta.

TAV IN VALSUSA
Dopo alcuni comunicati in parte discordanti tra loro, Chiara Appendino ha riaffermato la radice NO TAV del M5S: con il colpo ad effetto della citazione di un Renzi d’annata, ha affermato molto semplicemente che il Treno ad Alta Velocità non s’ha da fare perché non è conveniente in termini di costi/benefici. E addirittura sarebbe disposta, dopo un confronto sui dati e su alcune evidenze scientifiche, a far uscire il Comune di Torino dall’Osservatorio. Superando anche l’abbacinante paralogismo della Annunziata che in diretta TV è riuscita a pronunciare la seguente domanda: “Lei è laureata alla Bocconi, pensa davvero che il NO-TAV sia davvero una operazione che bisogna tagliare e non produce ricchezza?”
L’essenza NO TAV di Sistema Torino è così profonda che evitiamo di commentare l’assurdo tentativo di far passare per ignorante chiunque si opponga all’ opera.
Ha lasciato perplessi invece dal punto di vista strategico la ostinata difesa del Treno da parte di Fassino: ha sbandierato arditi paragoni con il Frejus e le autostrade negli anni ’60. “Per Torino è considerata vitale e strategica, un’ occasione di sviluppo da cogliere a pieno.” Non capiamo sinceramente come faccia a recuperare voti da sinistra senza porre neanche il minimo dubbio su una questione che la Val Susa trascina avanti da trent’anni ma certamente gli spin doctors avranno fatto i loro calcoli.

TRASFORMAZIONI URBANE (NUOVE CASE)/GENTRIFICATION
Eccoci al punto nevralgico dei regimi urbani a confronto: il mito dello sviluppo incentrato sulle nuove costruzioni è stato il faro illuminante della Giunta uscente, e giurano che continuerebbe ad esserlo in caso di vittoria. La zona grattacielo con sottopasso appena inaugurato sono il fulcro di cosa significhi trasformazione urbana per il PD, soprattutto se lo accostiamo alla gentrification di San Salvario e Vanchiglia.
Qui è nata, con una fortunata formula in termini di strategia del consenso, la “Teoria del NO” che il PD ha applicato al “Modello Torino a 5 stelle”: la Appendino ha detto ai microfoni di Raitre che vuole mettere uno stop alla costruzione di nuovi centri commerciali, che vuole rivedere il progetto di riqualificazione di Palazzo del Lavoro (con una galleria commerciale del lusso) con annessi lavori alla rotonda di Corso Maroncelli (che influirebbe sull’intenso traffico della zona), e che si trova in disaccordo rispetto a future costruzioni di nuove case “sparse” per le periferie della città.
La contrapposizione è elementare: costruire per creare lavoro e sviluppo da un lato, difesa del territorio e riallocazione delle case vuote già esistenti dall’altro. In questa dicotomia rientra anche la disputa riguardante la Città della Salute: sinergia positiva pubblico-privato contro l’opposizione all’ingresso delle case farmaceutiche nelle strutture ospedaliere pubbliche.
Anche in questo caso la storia di Sistema Torino parla chiaro, e non vogliamo certo sottrarci dal palesarla: la rubrica “Sarà un supermercato che vi seppellirà” è stata un giochino divertente oltre che fortunato in termini di interesse dei lettori. La distorsione sociale di questi non-luoghi è una contraddizione che abbiamo cercato di far esplodere da sempre: se percorrete tutta Via Cigna per poi proseguire verso Stazione Dora, vi troverete un panorama urbano costellato di marchi internazionali del largo consumo, intervallati dalla presenza di un solo museo privato (Ettore Fico, tra l’altro molto bello).
Il buon Piero ha difeso a spada tratta il piano regolatore da lui applicato,  tanto che si è lanciato più volte all’attacco dell’eventuale futuro Assessore appendiniano Guido Montanari (membro del Comitato Direttivo dell’Unione Culturale), reo confesso sostenitore della teoria della decrescita felice. Un attacco personale francamente infelice.

CULTURA E GRANDI EVENTI
Dulcis in fundo, la cultura, la parola chiave della rinascita della città, “capitale civile” secondo l’abitante del centro Zagrebelsky: un centro trasformato in una location en plein air di grandi eventi catalizzatori di turisti, e di conseguenza di ricadute economiche sul territorio. Quante ricadute? Questo vorrebbe sapere la squadra di Appendino, che ha detto NO (e te pareva!) ad una organizzazione dei fondi culturali della città incentrata sui grandi investimenti come il Festival del Jazz (150 mila euro pubblici su un totale di 900 mila), diventato una perfetta sintesi del tutto. Secondo il gruppo di lavoro cultura grillino, la spesa non vale la candela ed il Festival, insieme alle spese di promozione della città ad Expo 2015, sono diventati i facili bersagli di questo paradigma turistico-culturale di mercato. Paradigma su cui la squadra di Fassino continua invece a credere con forte convinzione, ritenendolo uno degli aspetti fondamentali della rinascita economica di Torino.
Al contrario, questi soldi andrebbero investiti capillarmente su tutta la città secondo i five stars, secondo un concetto di “cultura diffusa” opposto a quello dominante.
Altrettanto importante è la questione Fondazione della Cultura: un carrozzone utile a tenere in piedi il sistema politico-culturale secondo Chiara, un fondamentale ente di convoglio della sinergia pubblico-privata secondo Piero.

LE CONCLUSIONI IMPOSSIBILI
A questo punto, da buon fenomeno social, dovrebbe arrivare la nostra dichiarazione di voto di rito, coincidente con la chiusura della campagna elettorale che ci offre un quadretto perfetto di quanto scritto: la Appendino è andata alle Vallette insieme a leader nazionali come Roberto Fico e Ale Dibba Di Battista. Fassino si è recato presso la scuola Holden di Baricco e (in parte) Farinetti.
Dunque, cari sistemisti, che fare? Sistema Torino ha deciso di far proprio l’appello del “sistemista ad honorem” Tomaso Montanari (sostenitore del nostro spettacolo Exporto 2022, ci piace sempre ricordarlo) che su Repubblica ha spiegato nel dettaglio i motivi per cui ha rifiutato l’offerta di un Assessorato con la Raggi ma ha invitato i cittadini a votare per lei. E noi facciamo lo stesso, apertamente e senza finti cerchiobottismi, per Chiara Appendino, per le stesse ragioni del Compagno Tomaso: nelle tematiche di sinistra portate avanti in questi anni, abbiamo “sempre trovato dall’altra parte della barricata un sindaco o un presidente di regione del Pd o di Forza Italia (purtroppo spesso indistinguibili). E, invece, dalla mia parte e senza che li cercassi, c’erano immancabilmente i cittadini che si riconoscono nel Movimento Cinque Stelle.” Citazione, più che mai calzante per noi torinesi, del nostro amico fiorentino.
Aggiungiamo come pezzo altrettanto fondamentale per noi questo chi va là sul Movimento nazionale: Mi pare indispensabile che ora i Cinque Stelle accelerino la loro evoluzione: vanno superati al più presto il ruolo incongruo di Beppe Grillo, l’inquietante dinastia proprietaria dei Casaleggio, le inaccettabili posizioni sui migranti, sul cammino dell’Unione Europea e su altre questioni cruciali. Se questo processo continuerà sarà un bene per l’intera democrazia italiana: che rischia di bloccarsi sul mantra dell’assenza di alternative al Pd di Matteo Renzi.Se non avverrà difficilmente potremmo ancora pensare, in caso di altre consultazioni, al Movimento come un'alternativa.
Cosa succederà a Sistema Torino in caso di vittoria di Chiara Appendino? Semplice: dopo essere stati tra i primi a far esplodere le contraddizioni di questo Sistema, affronteremo le incongruenze del “Modello Torino” con la stessa aggressività e con la stessa volontà di disturbare il manovratore. Non vediamo l’ora.

martedì 14 giugno 2016

O’ SISTEMA T’ANCATENA: DA SALZA&SALIZZONI ALLA SCHELLINO

IL SISTEMA TORINO E’ VIVO E LOTTA INSIEME A NOI
E’ stata una campagna elettorale estenuante per tutti. Un rincorrersi di notizie, dichiarazioni, imbeccate, lotte social versus  giri nei mercati. Sfiancante, in primis per Fassino ed Appendino possiamo immaginare: in tutto questo, Sistema Torino si è divertito a giocare il ruolo per cui è nato, cioè individuare come il “Sistema Torino quello vero” si sia mosso all’interno di questo mare magnum. Nel frattempo, constatiamo con piacere che tale formula è entrata ormai nel linguaggio politico nazionale, dalla citazione fatta nel dibattito Sky all’utilizzo diffuso che viene fatto nelle cronache locali dei media mainstream.

PRIMO: MANTENERE LO STATUS QUO
La dichiarazione più importante, e più grave, è senz’altro quella di Enrico Salza, presidente di Intesa San Paolo Hightline, che dall’atrio del “suo” grattacielo ha affermato senza mezzi termini: “Non può non vincere Fassino perché se capitasse questo è finita non solo Torino e il Piemonte ma molte altre cose”. Arriveranno le cavallette! Abbiamo raccontato spesso il legame indissolubile tra la Fondazione e l’Amministrazione ventennale della città (vi basta ricordarvi Sergio Chiamparino Presidente della Compagnia di San Paolo?), per cui ci saremmo stupiti molto di più del contrario. Una investitura che suona scontata se non per la neanche troppo velata profezia di sventura in caso di sconfitta del Sistema: una sorta di profezia che si auto-avvera se consideriamo che sono loro ad avere in mano portafoglio e Welfare (su questo torneremo dopo) del capoluogo sabaudo.
Sempre rimanendo con le mani nel portafoglio, un capitolo importante è quello degli investimenti e delle nuove costruzioni in città, volano dello sviluppo secondo il modello attuale: una delle più importanti è la “Città della Salute”, al centro di scontri verbali anche violenti in questi giorni e possibile catalizzatore di forti investimenti privati (case farmaceutiche comprese?). A tal proposito, i giornali hanno dato ampio risalto all’opinione del cosiddetto re dei trapianti Mauro Salizzoni, Primario  e  attualmente  Direttore del  Centro  Trapianto  di  Fegato  all’Ospedale Molinette  di  Torino . Una figura storica di riferimento, che ha attaccato frontalmente l’idea a Cinque Stelle di ridimensionamento del progetto: una stroncatura cui è stato dato molto risalto, titolando e presentandolo come l’opinione di un tecnico. Salvo poi scoprire, leggendo il testo di Repubblica, che Salizzoni era lì per presentare il progetto sanitario di Fassino.
Per questo è sempre interessante confrontare i titoli sparati con il testo dell’articolo stesso: a volte si svelano diversità imbarazzanti. Il principale quotidiano locale ha giocato sul filo del rasoio un paio di volte nel presentare un apparentamento (che non esiste) tra Lega e M5S, ma resta pienamente coerente tra titolo e testo quando deve presentare “il buon Piero che sta su piazza da quando aveva i pantaloni corti” che si concede del relax bevendo spremuta d’arancia (una questione dirimente diciamo).
Le vette sono state raggiunte dal Buongiorno di Gramellini, che in prima pagina vende come verità assoluta il fatto che “i Fassino e i Giachetti, rispettivamente cresciuti alla grande scuola di Berlinguer e Pannella, siano più preparati e affidabili delle loro rivali a Cinquestelle.” Aggiungendo inoltre nel suo intervento a La7 che candidare due donne giovani (Appendino e Raggi, NdR) è un lascito del berlusconismo perché significa in qualche modo puntare tutto sull'immagine. Verrebbe da dire “buongiorno un caz..” se non fosse già un gruppo di Facebook.
Sul fronte politico resta l’ovvio e scontato appoggio incondizionato di Novelli, la cui rivista “Nuova Società” ha fatto ampiamente da megafono alla campagna del Sindaco uscente: quanto successe nelle elezioni del 1993 sembra ormai acqua passata di fronte al pericolo grillino. Ha fatto però specie la dichiarazione ai giornali di Gianguido Passoni, Assessore al Bilancio uscente, che sembrava quasi stupito dal fatto che parte dell’establishment della “sinistra che si è fatta destra” non fosse più assoldabile tra i sostenitori indefessi del progressismo moderno di Piero Fassino.
Ed il m
ondo della cultura? Sembra difficile immaginarseli sul fronte opposto a quello dominante anche se, tolte le dichiarazione di “pesci piccoli” delle zone gentry, ci saremmo aspettati di più dai grandi nomi del mondo giovanile. In un incontro pubblico al CAP10100, Enzo Frammartino, candidato PD ed ex collaboratore in staff dell'Assessore per la Cultura Braccialarghe, citò le numerose iniziative culturali, soprattutto grandi eventi, come una delle punte di diamante dello sviluppo cittadino. Sono effettivamente molte le realtà che si sono giovate dei finanziamenti privati raccolti dalla Fondazione per la Cultura: ricambieranno ora il favore con un “sostegno indiretto underground”? Staremo a vedere.
Rimane invece scoperto il fronte riassumibile nella formula “i murazziani”: non abbiamo voglia di ritirar fuori le nostre solite polemiche con l’amico Max Casacci, ma certo il suo, salvo l’ appoggio all’idea del Sindaco della Notte, è un silenzio che pesa. A tal proposito, non si può non citare il nuovo bando relativo al locale storico Giancarlo, che sarebbe potuto essere riassegnato proprio in questi giorni, ma il ricorso del vecchio concessionario (beccato con le mani in più offerte per lo stesso lotto) ha bloccato il coup de theatre della riassegnazione di Gianca in pieno ballottaggio. Sempre a proposito del nostro amato lungo fiume, siamo ancora in attesa del “bando culturale” che avrebbe dovuto assegnare alcune arcate alle associazioni più meritevoli dal punto di vista progettuale.
Suona invece scontato l’endorsment di famiglia della Direttrice del Circolo dei Lettori (preferiamo non commentare il post con la dichiarazione di voto del figlio disabile).
Resta invece super partes il mondo spirituale. La questione delle “due città”, fatta emergere dall’arcivescovo Cesare Nosiglia nei mesi scorsi, sembra aver raffreddato i rapporti tra Chiesa e Politica: un tasto troppo dolente quello della città invisibile che soffre per passare inosservato. Tanto che è diventato tema di attualità nazionale con i dati Caritas sulla povertà contestati in diretta su Sky da Piero Fassino: sono cento mila? Di più, di meno? Il presidente Pierluigi Dovis ha richiamato solennemente all’ordine entrambi i candidati, chiedendo che chi soffre venga sottratto dai giochini propagandistici di entrambi.

IL SISTEMA APPENDINO ESISTE?
L’alternativa al Sistema può essere ugualmente Sistema? Questa è la domanda madre, in primis per il nostro collettivo ça va sans dire. Difficile dirlo di chi non gestisce (ancora?) il potere: per cui ci atteniamo ai nomi già fatti rispetto alla potenziale squadra di Assessori di Chiara Appendino.
Il nome che ha smosso maggiormente gli animi sistemici è quello dell’ Assessora al Welfare, politiche sociali, educativa e di cittadinanza Sonia Schellino: dal 1996 al 2000 ha lavorato per la Fondazione Giovanni Agnelli, dal 2001 lavora per la Compagnia di San Paolo. Difficile considerarla una ribelle, più facile unire questo discorso a quello fatto in precedenza su Salza (il quale nella stessa dichiarazione aggiunse “Ho molta stima di Chiara Appendino”): chi detiene il potere finanziario e gestisce buona parte delle politiche di assistenza farebbe fatica (e forse sarebbe tecnicamente impossibile salvo un collasso delle politiche di aiuto) a lasciare dall’ oggi al domani le chiavi della città a qualcun altro.
L’ altra nomina che ha fatto arricciare qualche naso è quella al bilancio di Sergio Rolando: 68 anni, fino a un anno e mezzo fa direttore finanziario della Regione con Cota e Chiamparino e dirigente al bilancio con Ghigo e Bresso. L’uomo famoso per essere un oppositore dell’utilizzo dei derivati da parte delle Amministrazioni pubbliche, ma anche un “tecnico di Sistema”: staremo a vedere come si comporterà in caso di vittoria del Movimento.
Come valutare tutto questo? Dal nostro punto di vista, sembra un tentativo del Sistema di “mettere un piede nella porta” della casa del Movimento a 5 Stelle, perché alla fine non si sa mai: sempre meglio fare qualche complimento ogni tanto, giusto per lasciarsi la possibilità di dire “Comunque ho sempre detto che Chiara è brava”. Saremmo proprio curiosi di vedere come quel piede si potrà trasformare in un influencer del Sistema Appendino,  o se invece la porta verrà sbattuta lasciando il pollicione in mezzo.
Prima di tutto questo c’è però il ballottaggio del 19 giugno, sicuramente il più equilibrato della storia torinese: chi vincerà? Ma la vera domanda è: il Sistema Torino vincerà comunque? Ai posteri l’ardua sentenza.

lunedì 6 giugno 2016

IL FEUDO 2.0 TORINO NON ESISTE….PIU’

INTRODUZIONE
Domenica sera, cenetta con la mia dolcissima metà, sono quasi le undici e la tensione sale: caffessiga ed i miei occhi diventano un punto interrogativo gigante con le facce di Fassino ed Appendino impresse all’interno. “Va bene tesoro, vai pure”. I seggi sono chiusi e decido di indirizzarmi  verso il cortile del Maglio e vivere lo spoglio insieme ai Cinque Stelle: in fin dei conti, loro sono “all’esordio in una competizione importante” (come direbbero i commentatori sportivi), io da finto cronista pure, per cui via, si va da Chiara!
Strada facendo rifletto sul pessimismo pagliassottiano, diventato ormai una categoria dello spirito nella letteratura torinese: il Sistema Torino trionferà? Fassino vincerà al primo turno andando sotto la curva a zittire tutti i gufi catastrofisti come noi?

LE TRASFORMAZIONI URBANE ED IL VOTO
Ore 23,30 scattano i primi exit poll che danno la Appendino molto vicina a Fassino: lo staff pentastellato fatica a trattenere il ghigno, Airola in camicia bianca gira per i tavoli manco fosse De Sica in un film di Vanzina, l’entusiasmo viene trattenuto a stento dall’understatement d’ordinanza, che spinge l’arrivo della Appendino sempre più in là, quando la sua dichiarazione di rito dà una evidenza plastica a quanto accaduto. Dopo 15 anni Torino va al ballottaggio, Fassino al 42% contro il 31% di colei la quale “un giorno si sarebbe dovuta sedere sulla poltrona di Sindaco per dimostrare quello che è in grado di fare” (la seconda profezia di Fassino), il Movimento batte il PD di un soffio. Co' l'e' capità boja fauss?
Eh, è capitato che è emersa una spaccatura che riproduce fedelmente la geografia delle trasformazioni urbane di questi vent’anni: nel centro proletario spopola il Sindaco in carica conquistando il 50% dei voti (versus 21% della sua competitor), mentre nelle periferie è tutt’altra storia. Simbolica la vittoria di Chiara alle Vallette, con la Barriera Milano che vede i candidati appaiati. Identico invece il risultato nei due “quartieri di gentrification” San Salvario e Vanchiglia: 43% Fassino, Appendino 28%. Il Piero è re degli hipster! Aldilà delle battute, il processo di trasformazione in atto ha visto l’ Amministrazione tra gli attori attivi ed è stato in qualche modo premiato. E’ curioso come un sondaggio di Urban Center, presieduto dall’Assessore Lo Russo, in occasione del ventennale del Piano Regolatore delineò già involontariamente questa mappa del consenso: lo delineò talmente bene che decisero di chiedere l’opinione in merito alle trasformazioni solo alle zone coinvolte dagli investimenti. Perché chiedere a quei gretti delle periferie? A noi interessa l’opinione della Crocetta, degli abitanti della Spina 3 (per quanto anche qui non sia tutto eleganza&localifashion). Decidiamo noi a chi rivolgerci! Forse anche per questo sono stati puniti (o meglio, non abbastanza premiati dato che comunque la coalizione PD è in testa) in quelle parti di città invase da supermercati e nuove costruzioni come modello di sviluppo da accettare ed ingoiare senza possibilità di controbattere.

TORINO CUCU’ LA SINISTRA NON C’È PIÙ
Bene, una volta detto di PD e Five Stars, che altro resta da dire? Ah già, c’è quel dettaglio del voto di sinistra. Beh la coalizione post-SEL con capolista Airaudo è andata incontro ad un risultato disastroso. Forse i sondaggi pre-elettorali hanno alzato l’asticella delle aspettative, ma sotto il 4% e meno di Rosso è uno smacco difficile da digerire. I motivi? Abbiamo già evidenziato la trattazione di alcuni temi un po’ naif (Il Po balneabile? Ma davvero?) rispetto all’idea di sinistra impegnata nell’affrancare le fasce più deboli di popolazione dalla povertà. E non è un caso forse che sia stata Eleonora Artesio l’unica a salvarsi della scialuppa, che di periferie se ne intende e ne parla con cognizione. Ma crediamo che a punire maggiormente Torino in Comune sia stata la posizione di limbo tra Sistema ed anti-Sistema: sì ok va bene, ma sto Fassino al secondo turno lo appoggiate o no? Si sta col PD o lo si abbandona per sempre, ed ovunque? Finché non risolvono questo nodo gordiano difficilmente i post-SEL potranno andare più lontano di questa percentuale minuscola. E l’allontanamento dal Partito della Nazione deve essere radicale, anche e soprattutto nell’orientamento culturale: deve far riflettere gli amici Airaudiani il fatto che l’andamento per circoscrizione della “Sinistra per l’Alternativa” è molto simile a quella di Fassino. Alta in centro e nelle zone gentry, più bassa nelle periferie. Certo, se Atene piange, Sparta non ride: gli altri simboli variamente comunisti hanno collezionato una sfilza di zerovirgola da far impallidire la guida telefonica SIP anni ’80. La sinistra di destra di Passoni è fanalino di coda della sua coalizione: quindi dove è andato il voto di sinistra? O non esiste più, oppure è stato “affogato” nel Movimento 5 Stelle. A quanto pare, in molti si sono riconosciuti nell’ animus progressista che la Appendino ha dichiarato in diretta nazionale (ospite a La7 circa un mese fa).

LA SINISTRA AL BALLOTTAGGIO: IL DILEMMA DELLA PARRUCCHIERA
Saranno quindici giorni faticosi per tutti: l’elettore di sinistra (senza fare distinzioni tra chi è più duro e puro) si troverà di fronte al dilemma massimo che un’ elezione italiana possa presentare. Due anni fa risolsi la questione del rapporto tra la sinistra ed il Movimento 5 Stelle attraverso “il dilemma della parrucchiera”: posso scegliere la stessa lista che vota la mia petnoira, elettrice storicamente berlusconiana? Aldilà delle facili accuse di essere radical-chic, è una tematica dirimente per l’esito finale. L’endorsment di Salvini piomba sulla testa della grillina come una spada di Damocle molto affilata: Chiara ha appena dichiarato che si confronterà sui programmi e sui temi, e non poteva fare altrimenti. Certo, per noi di sinistra vera (sono auto-ironico) sarebbe bellissimo che uno dei due candidati dicesse: no, i voti di destra mi fanno schifo e puzzano! Tiè, viva i negri ed i froci! Eh, peccato che però non lo possano dire: mentre noi stiamo qui a produrre metafore accademiche su chi sia davvero dei nostri, le destre sceglieranno il prossimo sindaco di Torino. Se i voti di Morano sembrano quindi già destinati alla Appendino, i voti di Osvaldo Napoli (Forza Italia) sono in direzione Fassino (con la sentinella Magliano a fare da novello Caronte): e gli altri? Quelli che non seguono le indicazioni elettorali del proprio rappresentante di riferimento? A sensazione mi viene da ripensare alla questione forconi, un segnale forte e chiaro archiviato rapidamente con un “Fascisti! Ultras! Cinghiali beoti!” durante un aperitivo solidale: gli aneliti anti-sistema sembrano giungere sempre più intensi dalle periferie, privi di una colorazione specifica e quasi pre-politici nell’espressione dei propri bisogni. E se dovessi scommettere una birra con qualcuno, assegnerei quei voti al Movimento 5 Stelle. Ed a quel punto la bilancia potrebbe puntare davvero sul 50 a 50.

EPILOGO THRILLING
Ore tre di notte passate: ultima birra e si va a dormire. Mentre mi dirigo verso la macchina, incrocio Chiara davanti alla Scuola Holden con un sorriso che difficilmente sarà stata in grado di mascherare davanti alle telecamere, due chiacchiere veloci e vado a nanna. Ed un dubbio mi assale: “Stasera potrei aver salutato e baciato la futura Sindaca di Torino”. Un dubbio che nessuno riteneva possibile soltanto pochi mesi fa.                                                                            
                                                                   (dal nostro inviato Paolo Tex)

sabato 4 giugno 2016

IL BUIO OLTRE LA FIAT


Alla vigilia delle elezioni vi proponiamo questo bellissimo articolo del maestro Luca Rastello sulla nostra città. Nel 2003 Rastello riuscì a fotografare perfettamente Torino nel bel mezzo delle sue "trasformazioni". Un articolo che all'epoca diede molto fastidio, forse perchè entrava dritto nel cuore della nostra città. Sono passati oltre dieci anni: che cosa è successo a Torino? Vogliamo leggerlo nuovamente insieme a voi come spunto di riflessione a poche ore dal voto. 


Il Buio oltre la Fiat, di Luca Rastello 
(8 febbraio 2003, D Repubblica)


La città adesso è anche così: gente che salta i muri appena cala il buio. Accade sulle lunghe strade che lasciano il centro verso il nord, costeggiate dai muri in mattone scuro delle vecchie Ferriere, centinaia di metri senza un portone o una finestra, fermate d’autobus deserte dai tempi in cui gli orari della produzione fordista rovesciavano a intervalli regolari mareggiate di gente frettolosa sui marciapiedi. Ora, dopo il tramonto, li vedi: si fanno trampolino di vecchie cassette di legno per la frutta e scavalcano rapidi il muro, dove la cima appare smangiata dal tempo, poi si infilano nella notte di Torino a vivere le loro vite indecifrabili. 
Torino vista da Paola - un omaggio di Sistema Torino al maestro Luca Rastello
Anche la clandestinità ha i suoi flussi periodici, più sfuggenti di quelli dell’industria: ora sono quasi tutti rumeni i ragazzi che saltano fuori dalle cinte dei capannoni dismessi, indossano giubbotti neri fintapelle, hanno portato un pezzo di famiglia là dentro, tra le ferraglie che furono carroponti o altiforni, ad accendere fuochi, cucinare scarti del mercato, tirar su pareti effimere di plastica a riparo del vento e della legge Bossi – Fini. Pagano un mediatore per occupare quei vani destinati in poche settimane a cedere alle ruspe che rifaranno Torino, cancellando gran parte dello scheletro industriale che ha retto le fortune lungo il secolo scorso. Sei milioni di metri quadri, è questa l’estensione dei lavori in corso: l’imperatore è morto, l’impero Fiat minaccia di crollare, e le promesse di resurrezione stanno tutte nel terziario più elegante e immateriale, olimpiadi e saloni del gusto. Florin che ne pensa?  “Torino bella, super, bellissima”, dice in fretta, prima di correre nella notte.

La notte è quasi una novità a Torino, prima non c’era. Una sera di anni fa l’italianista Stefano Jacomuzzi, ospite di Gianni Agnelli, notò dalla collina le grandi chiazze di buio che si allargavano sotto il suo sguardo: “Sono le nove e la città sembra già addormentata”, osservò. “Lascia che riposino”, rispose paterno l’Avvocato.
Ora anche lui riposa. Erano suoi quei grandi viali paralleli alle linee di montaggio e, parallele ai viali, quelle traiettorie rettilinee di vite operaie o impiegatizie, definite una volta per tutte dal primo giorno allo stabilimento e dal regalo dell’orologio che li qualificava “Anziano Fiat” – un titolo che tanti si portano ancora nel necrologio sulla Stampa. “Avevamo tutti la stessa sensazione, davanti all'officina: ti sentivi inghiottito, l’aria se ne andava dai polmoni, quel giorno lì ti sembrava proprio di morire”, racconta Vincenzo Mare, arrivato ragazzo dalla Lucania, nei ’60. 
La Torino novecentesca è vissuta come un fascio di rette parallele. Con due vocazioni, antitetiche: una notturna, streghesca e ctonia, l’ala del grifone disegnata su certe carte rinascimentali d’Europa, l’altra ala su Lione e la testa su Praga a indicare i luoghi privilegiati dell’Alchimia, le città dai quattro fiumi, quattro come gli elementi per la Grande Opera; l’altra diurna, operaia, fatta di orgoglio di mestiere, coscienza robusta, sempre creativa e spesso conflittuale di coloro che prendevano parte all'altra grande opera, quella dell’auto. 

Le cose sono cambiate negli anni ‘90, con l’iniziativa di un assessore disinvolto che inventò la movida torinese sulla riva del Po. Sono gli anni di quella che il sociologo Marco Revelli chiama “la globalizzazione stracciona della Fiat”, il decentramento delle produzioni con esperimenti fallimentari come Cordoba in Argentina, e le dimissioni in massa. Oggi l’azienda annuncia poco più di 8 mila esuberi e molti si stupiscono che la capitale italiana della rivolta operaia novecentesca non insorga, ma se ne stia in coda al Lingotto per “L’ultimo saluto all'Avvocato”.  

Il fatto è che negli ultimi 12 anni, mentre scopriva la movida, la città ha perso 110 mila posti di lavoro, un’emorragia silenziosa e fatale, accompagnata dall'onda epidemica dei suicidi tra i cassintegrati dell’80 che non riuscivano a rientrare nel mondo del lavoro. Torino si è ridimensionata e i fuoriusciti dal lavoro fordista si sono sparpagliati nell’hinterland, in parte a costituire il triste arredo urbano dei prepensionati, pochi tornati al sud, qualcuno negli interstizi del commercio a piccola distribuzione, tanti riciclati al lavoro per il ciclo Fiat da “esternalizzati”, manodopera del terzo millennio, senza garanzie, impiegata nell'indotto e vulnerabile ai micidiali rimbalzi della crisi. “E’ una strategia dell’abbandono monitorata in ogni suo passaggio”, dice Revelli che però per la città non è pessimista: “Torino è risorta tante volte: dopo la restaurazione si reinventò come capitale del processo di unificazione. Caduta nel 1864, rinacque grazie ai nuclei nascenti artigiani e meccanici; è risorta dalla guerra, ha retto l’impatto dell’immigrazione di massa”

Ma ora c’è una differenza: “Aveva sempre in sé una scintilla di rivolta, una coscienza critica, la borghesia radicale del risorgimento, il movimento operaio. Con la sconfitta operaia dell’80, la liquidazione delle minoranze radicali è stata totale, espulsi e umiliati i ribelli, colpevolizzata la rivolta, rimossa la soggettività del lavoro”. L’azienda ha voluto stravincere e ha perso le sue risorse migliori. Come quegli operai che disegnavano un cerchio di gesso intorno alla macchina da lavoro e incrociavano le braccia se un caposquadra entrava nel cerchio, a difesa di quello che oggi si chiamerebbe know how.
Passata la commozione collettiva del lungo addio a Gianni Agnelli, oggi a Torino c’è la consegna del sorriso e l’appello ad andare avanti assieme, con un’ombra retorica. Il volano della nuova vita dovrebbero essere le olimpiadi invernali del 2006. Resta memorabile il commento della scrittrice indiana Arundathi Roy portata a vedere le infrastrutture in costruzione: “Really you destroy your environment for skying two weeks?”. Per ora il grande rilancio ingolfa la città di cantieri che inchiodano gli automobilisti a un rosario quotidiano di bestemmie. “Più testa meno coda”, ammonisce un castoro petulante scelto come mascotte dal Comune. Raccomanda il car sharing, cioè il rimedio ideale per la città fordista dove era facile che quattro operai della stessa fabbrica vivessero nello stesso palazzo e potessero usare una sola auto; oggi i futuri e solitari utenti del paradiso terziario si immaginano percorsi tortuosi per recuperare quattro persone e portarle in quattro posti di lavoro diversi dribblando un traffico infernale. Tutt'al più se la prendono con il castoro, mentre nessuno ha chiesto la testa dell’assessore alla viabilità: la città è conservatrice, ama le sue istituzioni comunque. “Preferisce”, secondo Livio Diamanti, “tenersi la nobiltà industriale decaduta, piuttosto che rispecchiarsi nel miracoloso nordest o nella Milano mediatica e borsistica”. Intanto la barista del Bar Sport di via Giachino (l’ultimo con questo nome) è incinta: “Ma vado a partorire a Cirié, sa, un piccolo ospedale: è come comprare la macchina in una concessionaria di provincia, dove ti seguono, invece che in un salone Fiat dove nessuno ti guarda”. Il parto, la concessionaria come metafora: la città ha i suoi lapsus, se Torino avesse avuto il suo Gaber ne sarebbe uscita una grande canzone. 

Eppure c’è poco da scherzare: non c’è solo la Fiat, né gli Agnelli.  Qui chiude tutto: la Sai Fondiaria che si trasferisce a Firenze; la Savigliano, gloriosa metallurgica che ha lavorato per quasi due secoli, dalle ferrovie all'indotto auto; la Utet, prima casa editrice nella storia d’Italia (166 esuberi su 400 posti); l’orchestra della Rai; persino, nonostante il buon successo, la sola telenovela che si girava in città, Cuori rubati, (aspettate a ridere: significa 200 fra protagonisti, registi, tecnici e redattori e un indotto di 350 attori locali, 500 comparse, 350 locations pagate, 27 case in affitto, 3000 giornate alberghiere scomparse). E gli operai? Nonostante i 110 mila posti perduti, Torino rimane la più grande città operaia d’Europa. Ma il lessico cambia: gli uomini del cerchio di gesso diventano “risorse umane”, e poi “esuberi”, e la città scorre loro di fianco, assorta in altri pensieri come nell'incubo di Primo Levi: “intorno a me tutti parlano delle loro cose come se io non ci fossi”

Alle officine Savigliano incontro l’architetto Natalia Rosso, incaricata della ristrutturazione dell’area che sarà inserita nei villaggi per le Olimpiadi del 2006: “Noi arriviamo come i personaggi di Amici miei: “qui tutto giù!” e gli operai che lavorano attaccati alle macchine ci guardano incuriositi, senza fastidio. Ho paura che a loro nessuno abbia detto niente”. Settimane fa, in una media fabbrica simile, uno ha messo in tasca la lettera di cassa integrazione, si è girato una corda intorno al collo, l’ha attaccata a un carro ponte e l’ha messo in moto.

Metamorfosi continue. Oggi la città vera non è quella dei dibattiti sul futuro della Fiat. E’ fatta invece di ex eroi della città fordista, di irregolari, di quella nuova borghesia imprenditoriale nera e nordafricana che rende vivo il quartiere di San Salvario, del lumpenproletariat extraeuropeo di Porta Palazzo, della legione dei saltatori di muri rumeni. Questo ti dice chi conosce bene la strada. Come Susanna Ronconi che vive sospesa fra due mondi, in una casa a due arie, una finestra sul suk di Porta Palazzo e l’altra sull’elegante “quadrato romano”. Ha diretto la prima unità di strada di intervento sulle tossicodipendenze proprio a Porta Palazzo e ora ha fondato un’associazione per formare operatori sociali alla partecipazione democratica: “Qui la maggior parte dei processi di partecipazione sono creati dall'alto, forme di ingegneria sociale che scendono dal Municipio. Si creano “tavoli”, consulte, commissioni dove siede chi ha già voce presso le istituzioni, ceto medio, associazioni storiche e potenti che pretendono di rappresentare chi voce non ha. Restano fuori migliaia di nuovi poveri, ansiogeni, adatti tutta più a incarnare il nemico sociale indispensabile per un modello di città che tende al frazionamento e alle barricate. Ci sono tante Torino diversificate, ma anche barricate l’una verso l’altra. Non è una cosa nuova, ma lo è per questa città che ha vissuto conflitti radicali ma sempre iscritti dentro un’unica descrizione della realtà. Ora è difficile anche chiamarli conflitti, li rintracci decodificando la domanda sociale che viene dalla povertà”. 
C’è un’immagine forte che spiega quello che dice Susanna: l’ex sindaco Castellani che si richiesta del cittadino-commerciante fece piombare i turet, le fontanine di strada, semplicemente perché venivano usati, vi si addensava gente.  L’allarme cresce per linee sue, eppure il commissariato di Ps di Porta Palazzo segnala che da due anni c’è un drastico calo di ogni tipo di reati. Torino è storicamente anche la città della solidarietà, da Don Bosco all'Arsenale della pace e del gruppo Abele, “il cosiddetto “terzo settore”, continua Susanna, “che ora tende a sostituire le tecniche alla politica, a fare dell’esclusione sociale un problema da affidare a un'équipe di esperti”. E’ così che si perde il contatto con intere comunità destinate a creare mondi separati come cités marsigliesi, qualcosa che Torino potrebbe scoprire non appena scatteranno le assegnazioni di case popolari agli immigrati. Potrebbe essere proprio questo il destino dei nuovi quartieri di palazzoni destinati ad alloggi che stanno nascendo intorno agli impianti del sogno olimpico. Li precede un piano regolatore invecchiato prima di prendere il via. Ci finiranno anche molti ex dipendenti Fiat: “La crisi dell’azienda si risolverà”, mi dice uno dei più importanti costruttori di Torino, “ma è un fatto che già oggi ci sono banche che non concedono mutui ai dipendenti Fiat”. 

Hanno due anime, i torinesi: una è quella di Gianduja, concorde con le istituzioni che hanno negato la crisi finché hanno potuto all'insegna del piemontesissimo esageruma nen. All'altra piace gingillarsi con la fame alchemica della città, di cui fa parte l’antica arte di interpretare i segni: nella primavera del 1980 un terremoto scosse Torino, sparse paura e danneggiò un solo edificio, il museo dell’automobile. Pochi mesi dopo la Fiat annunciò 22 mila esuberi e pose fine alla storia del movimento operaio italiano. Il 18 febbraio scorso, pochi mesi prima dell’annuncio della nuova crisi dell’azienda madre, fu annullato all'improvviso il 69mo Salone Internazionale dell’auto: un altro terremoto, un trauma per i torinesi maschi che nella visita primaverile al Salone avevano il rito di iniziazione adolescenziale. Quel giorno lì l’anima esoterica ha prevalso, e tanti in città si sono detti fra sé e sé: aj suma, “ci siamo”

giovedì 2 giugno 2016

INTERVISTA AD ALESSIO ARIOTTO - CANDIDATO SINDACO PER IL PCL

In vista delle ormai imminenti elezioni comunali vi proponiamo l'intervista ad Alessio Ariotto, candidato Sindaco per il Partito Comunista dei Lavoratori. 
Per problemi tecnici dell'ultimo minuto non siamo riusciti a realizzare in formato video il nostro incontro con l'esponente del PCL.
Ringraziamo comunque Ariotto per la disponibilità dimostrata.
Buona lettura!




  • Buongiorno Ariotto, grazie per la Sua disponibilità. Partiamo da un bilancio di questi cinque anni: quale voto darebbe alla Torino di oggi?
    L'amministrazione di un sindaco che si ritiene di sinistra e addirittura proviene dal PCI avrebbe dovuto impedire il diluvio di sfratti ed intervenire efficacemente contro l'emergenza abitativa, organizzare  adeguati servizi di accoglienza per i rifugiati, agire a sostegno dei redditi più bassi e contro la povertà dilagante. Siamo invece ai massimi storici come sfratti; profughi e migranti sono abbandonati a se stessi; la povertà aumenta. Nel frattempo pochi ricchi guadagnano sempre di più e soprattutto sono sempre i medesimi di Sistema Torino. Direi totale fallimento e quindi un bello ZERO.
  • Una delle parole d’ordine usate maggiormente in questa campagna elettorale è: periferie. Dove ha sbagliato la Giunta precedente? Da uomo di sinistra cosa pensa di fare per le zone semi-abbandonate della città?
    Anche io ho notato questo uso continuo del termine “Periferie” mai seguito da proposte concrete. Credo dipenda intanto dalla difficoltà di individuarle veramente: è periferia anche Porta Palazzo che è in pieno centro. “periferia” secondo me è dove si vuole imporre qualcosa di estraneo alla storia e alla comunità di quel quartiere e sempre di più vedo sparire negozi, soprattutto le librerie, a vantaggio o degli ipermercati o di vie dello shopping.
    Credo che si debba invece arrivare ad una gestione diretta dei quartieri: ci vogliono assemblee “de barrio” cioè di quartiere che decidano cosa serve veramente e lo impongano al comune, se necessario in modo energico.
  • Torino è una delle città con il più alto tasso di disoccupazione del Nord Italia: come rilanciamo il lavoro in città? Ha nostalgia della fabbrica e della città manifatturiera?Nessuna nostalgia di produzioni inquinanti e di ritmi di lavoro distruttivi. L'occupazione è funzionale al sistema capitalista che noi pensiamo invece di superare. Siamo quindi per la riappropriazione dei luoghi e la successiva creazione di stili di vita fuori dal cappio lavorativo: l'amministrazione comunista rivoluzionaria sosterrà di intende liberarsi dalle catene del lavoro salariato. E poi autogestione delle imprese in crisi o in fase di fallimento (con annullamento dei debiti con le banche e lo stato) secondo il modello di Miraflow a Milano o la Zanon argentina.
  • “Torino Capitale del Debito” è uno degli slogan di Sistema Torino: qual è la sua valutazione del Patto di Stabilità interno?
    Considerato che Fassino è anche presidente ANCI non si capisce cosa ci sia andato a fare su quella poltrona. Chiaro che il problema risorse non si risolve solo a livello locale. Uscire subito dal TAV però sarebbe un gran segnale per liberare risorse. Se il Comune non spende per servizi è per ripagare debiti contratti specie con le olimpiadi (fra 2004 e 2007). In ogni caso il patto di stabilità va superato e quindi intanto disatteso.
  • Passiamo a “Torino Capitale del Turismo”: un mantra ascoltato spesso negli ultimi 10 anni. Lei vede la città vivere di turismo e di cultura e se sì in che modo?
    Non quanto viene pubblicizzato e nemmeno quanto servirebbe, soprattutto per quanto riguarda la cultura. Tutto è merce e quindi perde di senso ormai. Le vie del centro sono un triste centro commerciale a cielo aperto di negozi monomarca intervallati da bar o gelateria.
    Però Torino non è Venezia Firenze o Roma. Deve tornare ad investire nella ricerca per tornare a produrre cose diverse che siano compatibili con l'ambiente la tutela della salute e che servano davvero. Per questo occorre pianificare cosa e per chi produrre.
  • Un tema molto caldo sotto diversi aspetti (economici e politici) è quello della gestione delle partecipate. Chemodello possibile vede nel futuro sulla gestione dei servizi?
    Solo aziende speciali. Tornare ad un controllo pubblico diretto. Assumere i precari . In questo settore le privatizzazioni sono state un fallimento e servono solo per fare macelleria sociale.
  • Uniamo le diverse questioni: nomine nelle fondazioni bancarie, partecipate, gestione del debito. Domanda secca: il Sistema Torino esiste?
    Se avete tempo fate il giochino dei puntini neri: unite i  nomi dei membri nelle  fondazioni bancarie, partecipate, immobiliari, allargatelo magari alle fondazioni culturali e magari aggiungete un po' di consulenze professionali e vedrete che immagine viene fuori... 
  • In uno scenario di ballottaggio tra Appendino e Fassino, lei cosa voterebbe?
    Personalmente voterei contro Fassino, ma che il M5S senza uscire dal capitalismo possa fare molto meglio ne dubito.
  • Cosa ne pensa del percorso della sinistra italiana degli ultimi 20 anni che pare essersi persa? Quali sono i contenuti odierni di una sinistra di lotta che si candida alle elezioni?
    I nostri contenuti sono quelli ovvi di una normale sinistra anticapitalista. La deriva della sinistra, non solo in Italia, è però più risalente e inizia nel dopoguerra con Blair a dare il colpo di grazia.
    Per rimanere in Italia la compromissione con PdS-DS-PD è stata devastante. Occorre costruire dalle fondamenta un movimento politico rivoluzionario che sappia suscitare e accompagnare le lotte globali che per esempio stanno scuotendo la Francia. Prima o poi sarà la volta dell'Italia.

mercoledì 1 giugno 2016

La triste favola del Motovelodromo: i beni comuni secondo la giunta Fassino

Una favola si dice triste se ha esito affatto allegro, se l’epilogo non recita “e vissero tutti felici e contenti” ma rattrista il lettore per il destino crudele che riserva ai protagonisti.

Prendete il Motovelodromo di corso Casale 144: è una di quelle storie che molte città - piccole o grandi che siano - hanno, nella maggior parte dei casi eredità di un passato dalle esigenze diverse da quelle di oggi.(*) Nelle città del passato, infatti, esistevano i Beni Pubblici, lo Stato e gli Enti Locali avevano il compito di amministrarli rendendoli accessibili alla collettività e garantendo la massimizzazione dell’utilità sociale. Di Beni Comuni nelle città del passato, piccole o grandi che fossero, non c’era molto bisogno di parlare perché l’espressione Beni Pubblici custodiva già il destino di quel patrimonio e dei cittadini delle città del tempo che fu. 

Il nostro Velodromo è nato nel 1920, per volontà della Società Anonima Motovelodromo Torinese, al fine di ospitare sportivi e amatori dediti al ciclismo, all’atletica e al motociclismo. Dalla fine degli anni Venti del vecchio Novecento, il Motovelodromo Fausto Coppi vive una stagione di gestione pubblica, poi di nuovo una stagione privata, infine dal 2015 torna tra le braccia accoglienti del Comune di Torino. Nell’ultimo ventennio in particolare il Velo - come affettuosamente lo chiamano i torinesi - sottoposto a vincolo della Sovraintendenza già dal 1994, è stato assegnato al Comitato di Gestione del Motovelodromo che ha ottenuto la concessione in cambio della ristrutturazione, mai realizzata, della struttura. Nel 2015, a seguito di un contenzioso tra il Signor Comune di Torino e il legale rappresentante del Comitato di Gestione del Motovelodromo, il bene torna nelle mani della Città che inizialmente prospetta scenari catastrofici: modifica della destinazione d’uso, trasformazione dell’impianto, abbattimento delle tribune, supermercato. 

Il compito di una buona amministrazione è - certo - trovare soluzioni alle situazioni di degrado, ma non possiamo certo dire che il Signor Comune di Torino abbia profilato soluzioni che dessero lustro e pregio alla struttura, disegnando di fatto uno scenario che vede ancora una volta protagonisti soggetti privati e che finirà per lasciare ancora una volta ai margini la cittadinanza e i suoi entusiasmi. 

Un bel giorno nella caldissima estate trascorsa, un gruppo di volenterosi cittadini ha iniziato ad alzar la voce: gli abitanti del quartiere, gli amatori, gli sportivi riunitisi nel Comitato informale “Salviamo il Motovelodromo” si sono attivati per la difesa dello storico compendio, patrimonio indisponibile della Città destinato a scopi sociali; hanno iniziato a raccogliere firme, informare, sensibilizzare, organizzare azioni simboliche. Insomma hanno iniziato a far sentire la propria presenza.

Nel frattempo, risolto il contenzioso con il vecchio gestore, nell’attesa di una soluzione definitiva e - detto tra le righe - volendo evitare una presa di posizione più invasiva dei cittadini scontenti, dato il clima politico del momento e le numerose rivendicazioni da parte dei cittadini torinesi sui Beni Comuni, il Signor Torino provvedeva il 26 novembre 2015 all’“inserimento immediato presso l’immobile di un presidio che, nel tutelare l’impianto con una effettiva e concreta presenza, ne consentisse un impiego, sia pure ancora del tutto marginale e senza specifiche connessioni con la vocazione dell’impianto”.

I primi mesi del 2016 sono determinanti per il triste esito della nostra favola. 

Nel mese di gennaio, il Signor Torino approva il regolamento dei Beni Comuni della Città, nel mese di febbraio i cittadini organizzano un incontro pubblico negli spazi del Velo. Allora, il Signorotto si mostra collaborativo, apre le porte e partecipa alle iniziative della cittadinanza; Sindaco e Assessore al Patrimonio sfilano in gran parata già pensando alla campagna elettorale. 
<<Oggi sono stato al Motovelodromo Fausto Coppi per un momento di confronto piacevole e aperto (recita un post del Signor Sindaco datato il 13 febbraio 2016, ndr). Ho incontrato sportivi, cittadini, famiglie e promotori del comitato "Salviamo il Motovelodromo”. Insieme abbiamo parlato del futuro della struttura, e con l’assessore Passoni ho presentato il piano d'intervento che porterà alla sua riapertura. Quest’autunno, infatti (si riferisce all’autunno 2016, ndr) verrà indetto il bando di riqualificazione, che avverrà attraverso un progetto di recupero grazie a fondi europei e partecipazioni private. Il lavoro continua.>>
Insomma per amore del Sistema Torino il Signor Sindaco e il suo Assessore hanno ben pensato d’illudere i cittadini: il piano d’intervento citato nel post su Facebook del Signor Sindaco, infatti, ha previsto l’apertura di un bando pubblico che confermasse la temporanea assegnazione del Compendio all’Associazione "Radio Soccorso" ma che consentisse l’uso transitorio alle associazioni sportive interessate. 
Nessuna traccia della cittadinanza nel bando pubblico, né della collettività informale, nessuna traccia della passione e del fervore dei cittadini, smorzati e tenuti a bada attraverso il più classico degli strumenti amministrativi.

Il 23 febbraio 2016, la Giunta Comunale delibera l’apertura del bando per l’utilizzo temporaneo ad uso collettivo della struttura di proprietà comunale, sita in Corso Casale 144. Il modello di gestione - affatto innovativo - si rifà al classico schema di assegnazione tramite bando al privato sociale di turno, nella fattispecie l’Associazione “Radio Soccorso” che rimane custode della struttura per i sei mesi di durata del bando. Il bando prevede però la possibilità che altre associazioni concorrano alla condivisione dell’uso delle parti agibili della struttura: piste e pratone. Partenariato pubblico-privato non profit: il classicone! Singoli cittadini, gruppi informali non costituiti in organizzazioni, potranno certo avere accesso alla struttura e disporre del pratone ma solo a patto d’associarsi ad una delle organizzazioni firmatarie del patto di collaborazione.

Le responsabilità sono, invece così ripartite: alla Città spetta l’assicurazione contro incendio e la responsabilità civile dell’immobile, salvo poi richiedere all’articolo successivo del bando che le associazioni sollevino la Città da ogni responsabilità derivante da incidenti causati nello svolgimento delle attività dallo stato dell’immobile. Alle associazioni spetta, invece, la copertura assicurativa dei rischi legati alle attività per ogni associato. I non associati del resto, non sono neanche contemplati. 
Il triste epilogo è già vicino. Il bando, scaduto a marzo 2016, premiava i mega-raggruppamenti e fiat voluntas sua, tutte le 11 associazioni presentatesi si sono riunite nel mega-raggruppamento “Pezzi di Motovelodromo”.

Insomma, i cittadini (recita un post elettorale dell’Assessore Passoni, ma sarebbe meglio dire le associazioni, ndr) progettano l'attesa: fanno in modo che l'immobile non sia abbandonato al proprio destino ma lo tengono vivo e accessibile a chi vuole utilizzarlo per la pratica sportiva. Poi, allo scadere dell’assegnazione un bel calcio in culo ad associazioni e cittadini e via libera agli investitori privati. Parallelamente alla riapertura del Motovelodromo, infatti, è previsto l’avvio di uno studio per individuare le modalità di destinazione definitive della struttura, certo, tenendo ben ferma la vocazione sportiva e la fruizione collettiva dell'impianto. Il tavolo coinvolgerà la Soprintendenza ed avrà l’obiettivo di elaborare entro l’autunno un vero e proprio bando di riqualificazione attraverso un progetto organico di recupero, con fondi europei e naturalmente privati.

Questa è una favola triste, ma siccome ci piace un sacco, la rendiamo partecipativa: proviamo ad immaginare insieme chi non sarà coinvolto nel tavolo? I cittadini-sudditi e le associazioni-tappabuchi? O i capitali privati e le organizzazioni amiche? Per parte nostra temiamo sia la cittadinanza a restare ai margini, utile solo in situazioni emergenziali nel recuperare, ramazza alla mano, il patrimonio collettivo dal degrado per vederselo, poi, sistematicamente sottratto. 

Che triste favola quella del Motovelodromo. Che triste destino per i Beni Comuni della giunta Fassino.

(*) attraverso il corsivo si segnalano nel testo le parti riprese da un post di Gianguido Passoni del 16/05/2016. Voglia perdonarci l’Assessore per aver violentato il suo bel post da campagna elettorale.