domenica 20 novembre 2016

MANIFESTAZIONE POPOLARE ALLE VALLETTE: E LE PERIFERIE?

Piazza Montale è stata uno dei simboli della campagna elettorale torinese: qui si chiuse il 16 giugno la lunga marcia che portò Chiara Appendino a vincere il ballottaggio, e stra-vincerlo nelle periferie con una comunicazione che concentrò il messaggio sui quartieri abbandonati della città.
Da qui parte la marcia popolare, a cinque mesi di distanza, dei comitati di quartiere Vallette-Lucento, che passano al contrattacco “presentando il conto” alla nuova Giunta: moratoria degli sfratti, nuova edilizia popolare pubblica, aumento delle linee del trasporto pubblico (i media hanno paventato un taglio della Linea 29 negli scorsi giorni), estensione dei servizi alla popolazione (le famose biblioteche e luoghi di incontro pluri-citati questa primavera) e partecipazione cittadina alla destinazione dei fondi del “Piano Periferie”. Insomma, le risposte di politica economico-sociali che tutti noi ci aspettiamo per invertire il trend della precedente Amministrazione, quello che ha creato la città duale dei ricchi sempre più ricchi e dei poveri sempre più poveri. Ah già, a proposito di PD e dintorni: sinceramente ci saremmo aspettati un riavvicinamento, almeno strategico, alle periferie ma per ora il dibattito nella ex maggioranza ferve intorno ai grandi eventi, al concertone di Capodanno, alla supposta hashtag-decrescita-infelice quando si tratta di sostenere la costruzione di grandi supermercati e gallerie del lusso.
Di politiche anti-sfratti e di sostegno alle fasce più deboli della popolazione si accenna meno, per cui sono rimasti i comitati di quartiere, attraverso eventi pubblici come la marcia popolare di sabato pomeriggio, a ricordare alla nuova Sindaca le promesse elettorali. Abbiamo scritto un paio di giorni fa un articolo
Per questo motivo, non possiamo che condividere e sottoscrivere il seguente appello a Chiara Appendino letto al microfono nel corso della “passeggiata” per le Vallette:

Le scriviamo questa lettera pubblica perché abbiamo bisogno di farle arrivare la nostra voce.
Siamo abitanti del quartiere Vallette-Lucento, uno dei molti quartieri popolari di questa città.
Viviamo in un pezzo di città in cui la sofferenza e le difficoltà sono tante, il disagio cresce e la rabbia pure.
Molti degli abitanti dei nostri quartieri l’hanno votata, sperando nel cambiamento che proponeva. Adesso che è stata eletta però dobbiamo ricordarle che non c’è più tempo. Vallette e Lucento vivono della caparbietà e della forza degli uomini e delle donne che ci abitano, della volontà di non arrendersi anche davanti a problemi sempre più grandi. Però i tagli alle risorse ed ai servizi ormai sono intollerabili. Non siamo più disposti a vivere sotto la soglia minima di dignità, bisogna prendere provvedimenti subito!
Le chiediamo di concentrarsi su politiche sociali per le tante persone in difficoltà in questa città e non sul centro vetrina, sulle polemiche con le opposizioni e procedure burocratiche che non tengono conto delle nostre necessità. Un esempio di queste mancanze sono i tagli al Teatro Isabella che di fatto ci tolgono uno dei pochi spazi culturali del nostro quartiere.
Vogliamo che la priorità assoluta venga data a chi in questi anni è rimasto escluso dalla politica torinese. Per troppo tempo abbiamo vissuto in palazzi malconci, gestiti dallo strozzinaggio di ATC, cercando di mettere insieme il pranzo con la cena, dovendo scegliere se accendere il riscaldamento o fare la spesa, sotto continua minaccia di sfratto, zitti e cercando di sopravvivere.
Vogliamo un blocco immediato degli sfratti e una revisione di tutti i criteri che regolano Atc. Se a parole si die che si vogliono “cambiare le regole”, all’oggi non è cambiato nulla dalla vecchia amministrazione del PD e di Fassino.
Per noi “periferie al centro” vuol dire smettere di subire in silenzio, alzare la testa e incontrare quanti vivono i nostri stessi problemi. Crediamo che esista una possibilità di cambiamento, per le condizioni elle nostre vite, del nostro quartiere, per il futuro dei nostri figli. Vogliamo che queste risorse vengano utilizzate per mettere a norma la casa Atc e per assegnare le migliaia di alloggi vuoti.
Sindaca, qual è la Torino che si immagina?
Noi non possiamo più aspettare. Speriamo che lei condivida con noi questa necessità. Non vorremmo scoprire che anche questa volta è stata persa un’occasione, che si è trattata di una campagna elettorale come tante altre ce ne sono state. Ci dispiacerebbe perché noi non siamo più disposti a tornare indietro e non permetteremo più che la nostra dignità venga calpestata. (Firmato Comitato Popolare Vallette – Lucento)


venerdì 18 novembre 2016

EMERGENZA SICUREZZA IN CITTÀ: É L'ESERCITO LA RISPOSTA?

“La priorità è la sicurezza!” esclamerebbe qualsiasi cittadino dopo la lettura del quotidiano locale durante il cappuccino e brioche mattutino, e ne ha ben donde: notizia di punta della giornata è l’asse Torino-Milano sul tema, anzi sull “emergenza” (l’approccio emergenziale alle questioni sociali è ormai una prassi nel nostro Paese, è sempre un buon viatico per forzare le procedure) sicurezza in città. Le recenti esperienze a riguardo collegano l’emergenza ad una mossa repentina molto pericolosa: l’invio dell’esercito per le strade. Semplice no? I cittadini “percepiscono la minaccia alla propria incolumità”, lo Stato manda i pennacchi per strada ed automaticamente “ci sentiamo più sicuri”. Premesso che, se Milano ha già ventilato tale ipotesi (i Sindaci-sceriffo sono una invenzione delle Amministrazioni locali del PD, per cui non ce ne stupiamo di certo) la Sindaca di Torino Appendino mai ha espresso l’intenzione di intraprendere questa strada, resta comunque da fare una riflessione sui concetti racchiusi in tale tematica.

Come se non bastasse, La Stampa di oggi “annuncia” la presenza di eroina e prostitute a San Salvario, quartiere che oggi scopriamo essere “a rischio”. La tensione è alta secondo il giornalista, il tema è caldo da circa un mese, per quanto i dati relativi alle dipendenze ed alla criminalità non indicano aumenti sensibili nell’ultimo anno, ma anzi una tendenza alla diminuzione consolidata del numero di casi di tossicodipendenza. Con questo non si vuole certo sminuire le, appunto, percezioni di insicurezza di chi ha il pusher sotto casa e le giuste questioni di legalità che molti abitanti pongono, ma pensiamo che a questo si debba rispondere con la forza dei numeri.

Dati statistici e Torino fanno venire in mente solo una cosa: Rapporto Rota, che nel 2015 offre una ampia panoramica sulla questione sicurezza, e per illuminarsi basta osservare come il capitolo sia suddiviso nelle seguenti sezioni: lavoro, redditi, casa, salute, criminalità. Partiamo da quest’ultima per avere conferma del fatto che i reati di micro-criminalità sono effettivamente in aumento negli ultimi anni, a partire guarda caso dal 2008, anno di “nascita” della crisi (strutturale e non ciclica) del capitalismo. Per cui se è vero che vi sono diffuse motivazioni per essere preoccupati da questo momento, è altrettanto vero che la modalità di risposta deve essere adeguata: non può essere certo la repressione attraverso il controllo incondizionato ed a tappeto del territorio, né tanto meno l’invio dell’esercito per le strade (la cui efficacia è molto dubbia, come scrive anche La Repubblica di oggi).
Per le risposte basta tornare alle altre sezioni: lavoro pressoché scomp
arso dalle voci di investimento della/delle città (a Torino negli anni passati si è investito più in cultura che in lavoro nell’ambito giovanile), redditi in forte calo ma non per tutti con la conseguente creazione della città duale, emergenza casa in costante crescita e sfratti che proseguono col vento in poppa a prescindere dal colore dell’Amministrazione in carica. Basta vedere quello che sta succedendo a Borgo Dora, dove la “riqualificazione Holdeniana” del quartiere non ammette la presenza di famiglie morose in palazzi fatiscenti: stonerebbero con la tendenza sempre più cultural-chic del quartiere. Per continuare a farsi del male, basta dare uno sguardo ai differenti tassi di mortalità tra centro e periferie (sì le periferie esistono, per quanto i think tank del progressismo nostrano abbiamo abbracciato la moda recente di metterlo in dubbio): non vi sono i soldi per la prevenzione sanitaria, non vi sono i soldi per acquistare altro che Junk food e le conseguenze in termini socio-sanitari si traducono in una aspettativa di vita più bassa man mano che ci si allontana dal centro (Anche questo tema elettorale espresso tramite l’immagine delle fermate del percorso del tram 3 dalla collina alle Vallette).
Riassumendo e citando dal Rapporto stesso “lavoro, casa e salute, diversi fattori ambientali giocano un ruolo fondamentale in termini di sicurezza delle persone e di coesione del tessuto sociale”: in vista del probabile futuro arrivo di risorse da investire nella sicurezza, ci piacerebbe destinare questo promemoria alla Sindaca, che fu forse la prima in città a citare sapientemente il Rapporto Rota nei suoi interventi. La sicurezza si raggiunge garantendo al cittadino i diritti economico-sociali, lavorando sulle cause dei meccanismi di esclusione e non sugli effetti: è la strada più lunga, ma non esistono scorciatoie militaresche.

Le periferie continuano a reclamare attenzione al disagio esploso a livello mediatico durante la campagna elettorale, e per questo motivo il Comitato Popolare Vallette-Lucento ha indetto una marcia popolare per sabato pomeriggio con partenza da Piazzale Montale.
Sistema Torino invita tutti i sistemisti a partecipare numerosi.

giovedì 17 novembre 2016

IL MARINO DI TORINO: DA DOVE ARRIVANO GLI ATTACCHI A MONTANARI?

Si può dire che non è stata una bella giornata per Guido Montanari quella di ieri? L’ Assessore all’ Urbanistica nonché Vice-Sindaco si è ritrovato a fronteggiare degli attacchi mediatici molteplici, di uno spessore politico prossimo allo zero: prima il parcheggio disabili della sua auto di servizio, poi il video estratto dal contesto originale trasformato in un “speriamo che Grillo non vinca le elezioni”. Niente di meglio per iniziare una gogna mediatica degna degli scontrini di Ignazio Marino (ve lo ricordate? Tutto cominciò da una bottiglia di vino e, ironia della sorte, da una macchina in divieto di sosta, mica da quel che stava facendo in qualità di Sindaco). I più attenti alla politica torinese sanno che l’attacco nei suoi confronti non è una improvvisazione di due giorni fa, ma siamo all’apice di un processo di delegittimazione iniziato qualche settimana fa.

A settembre si è cominciato politicamente “a fare sul serio” e Guido Montanari era, ed è, il simbolo di cosa significhi tutto ciò: continua e completa aderenza al Movimento NO TAV senza cedimenti, una rivoluzione urbanistica contraria alla cementificazione selvaggia, un tentativo di pratica politica davvero diversa e trasparente negli ambiti che coinvolgono la vita quotidiana di tutti i cittadini. Sono i temi che Sistema Torino ha sempre sostenuto, ed i motivi per cui decidemmo apertamente di esprimere la nostra adesione a questa parte della candidatura a 5 Stelle che il Vice-Sindaco rappresenta.

La sensazione è che questo suo modo di agire sia “fastidioso” a più livelli, ma sia anche la versione per ora più coerente di quanto sostenuto dal Movimento 5 Stelle in campagna elettorale in termini di onestà e trasparenza. Per questo ci aspettiamo una ugualmente vigorosa levata di scudi di tutta l’Amministrazione, in primis di Chiara Appendino, a sua difesa.

Sia chiaro, nessuno vuole sostenere l’infallibilità del Vice-Sindaco, e chi segue Sistema Torino sa che le nostre critiche sono sempre “alte”, dal pasticcio in Consiglio Comunale di lunedì sull’accordo con la Regione per i Palazzi regionali in svendita all’autorizzazione della nuova galleria commerciale in Corso Romania.  Questioni “vere”, di azioni politiche reali, che in un modo o nell’altro condizioneranno la vita di noi cittadini: è su questo che ci piacerebbe giudicare l’azione politica di Montanari, Appendino e soci. E ci piacerebbe che questo fosse l’obiettivo di tutti, oppositori e media, più o meno imbeccati, compresi: perché abbiamo la presunzione di aver agito sempre allo stesso modo, che si tratti di Sistema o presunti anti-Sistema, perché crediamo che la denuncia di chi osserva deve andare nella profondità degli atti e non fermarsi alla superficie che fa audience ma avvelena il clima.

Crediamo fermamente nella lotta politica fatta alla luce del sole: per questo ci teniamo ad esprimere la nostra solidarietà politica e personale a Guido Montanari, con la speranza che questa strada venga da tutti intrapresa al fine di rimettere al centro dell’attenzione la Politica nella sua espressione più alta.

mercoledì 9 novembre 2016

Sistema Torino incontra Nicoletta Dosio: la lotta NO TAV non si arresta


(Nicoletta Dosio - Foto di Michele Lapini)
L’appuntamento con Nicoletta è all'osteria La Credenza, a Bussoleno, il suo luogo di evasione in questi mesi, da quando a giugno ha iniziato a disobbedire all'obbligo di firma, poi all'obbligo di dimora e infine agli arresti domiciliari. Più si aggravavano le misure cautelari, più forte era il suo gesto di resistenza. “La mia casa non sarà il mio carcere” dichiarò Nicoletta fin dall'inizio.



Ad accoglierci ci sono diversi No Tav che in questo periodo si sono dati il cambio per proteggerla ma anche per condividere con lei questo gesto di disobbedienza e il tempo quotidiano. Giornate fatte di parole, partite a carte, riunioni, colazioni e aperitivi resistenti e proiezioni di film.
“Nicoletta dopo andiamo a farci un giro al mercato” le dice un’attivista. Il lunedì è giorno di mercato a Bussoleno e come ogni settimana, Nicoletta viene accompagnata e, nel tragitto e per i banchi, raccoglie la solidarietà dei cittadini che sempre  più riescono a comprendere il muro contro muro con la Procura di Torino.

Si avvicina con il consueto sorriso e saliamo insieme al primo piano della Credenza, dove ha la sua stanza e ha ricostruito parte del suo mondo quotidiano.  Ci sono soprattutto libri. “Sto creando una piccola biblioteca anche qui - esordisce Nicoletta -  ho comprato questa raccolta di classici greci e ogni sera leggo L’Inferno di Dante, uno dei miei libri preferiti”.
Nicoletta è una professoressa di italiano e latino,  ha 70 anni ed è da qualche anno in pensione. Ha insegnato per tantissimi anni al Liceo Scientifico “Norberto Rosa” di Bussoleno, istituto grande e importante che ha contribuito a far nascere grazie al suo impegno e a quello di altre personalità del paese.

La disobbedienza di Nicoletta nasce a giugno quando, insieme ad altre 19 persone, riceve delle misure cautelari per la partecipazione a una manifestazione del 2015. Prima l’obbligo di firma, poi di dimora, e infine gli arresti domiciliari. Tutte misure disattese.

UNA LOTTA SENZA ETA’
Un movimento -  quello No Tav - composto da varie anime ma anche da varie età. Ora le persone diversamente giovani sembrano essere al centro del mirino della Procura di Torino. Ad esempio Marisa Meyer, settantenne anche lei, è stata colpita dalle misure cautelari per lo stesso episodio di Nicoletta. La sua fotografia, con il bastone mentre va dai Carabinieri per le firme quotidiane, aveva destato clamore su internet. La repressione non guarda di certo la carta d’identità, lo fa in modo cieco.
“Si riscopre una nuova dimensione nella vita, non è che lo facciamo per vitalismo, ma perché finalmente ci sentiamo ancora utili e presenti a noi stessi, cosa che ci dà una botta di vita notevole. Invece di fare i trattamenti nelle cliniche dell’eterna giovinezza consigliamo un giro di lotta non solo al cantiere della Maddalena. Ci sono tanti posti in giro per l’Italia dove portare avanti delle battaglie, ognuno nelle proprie realtà”


IL MURO CONTRO MURO CON IL POTERE GIUDIZIARIO
In questi mesi si è aperta un nuovo fronte di scontro, quello con il potere giudiziario. Sono migliaia gli attivisti No Tav indagati, centinaia i processi che intasano le aule del Tribunale di Torino. In queste settimane si sta discutendo in appello il maxi processo per gli scontri del 27 giugno e del 3 luglio 2011: un calendario serrato di udienze per poter arrivare al più presto a una sentenza di secondo grado. Due pesi e due misure, due diverse velocità anche nel portare a giudizio manifestanti e forze dell’ordine.
Nell'ultimo anno abbiamo assistito ad un uso massiccio delle misure cautelari e non solo riguardanti il movimento NoTav: obblighi di firma, di dimora, arresti domiciliari, dati in grandi quantità anche a distanza di più di un anno dai fatti contestati.

L'INTERVISTA

ST: La tua battaglia mette in luce molte contraddizioni a livello giudiziario e politico.
“Il capitale ha le sue prime file nella polizia che ci fronteggia e le seconde, invece, nei tribunali che ci giudicano. Comunque il partito trasversale degli affari è davvero un’idra che allunga i suoi tentacoli dappertutto. Questa situazione l’avevamo capita fin da subito, da quando nel 2005 abbiamo visto come la legge proteggeva i veri violenti che erano venuti a sgomberare il presidio di Venaus con metodi certo non democratici e garantisti. Lì abbiamo capito che c’era un abisso tra legalità e legittimità. Si perde fiducia in quelli che dovrebbero essere gli organismi di garanzia democratica. E’ chiaro che i tribunali sono un dentellato importante del sistema, lo sappiamo benissimo. Scopriamo sulla nostra pelle quello che gli oppressi da sempre sanno. Le carceri sono più che mai luogo di controllo sociale, di repressione verso chi vede messo in discussione le minime garanzie di vita. Sono tutt’altro che luogo di giustizia popolare.”

(La sagoma di Nicoletta compare a Roma)
La resistenza della professoressa Dosio sta mettendo in crisi Palazzo di Giustizia a Torino. Giovedì Nicoletta è venuta a Torino per partecipare al presidio di solidarietà nei confronti degli imputati al maxi processo che si sta svolgendo in queste settimane.
La polizia non poteva stare a guardare, come ha fatto nei mesi scorsi facendo finta che Nicoletta non esistesse, che non fosse evasa.
Quel giorno era lì davanti. Così la Digos l’ha prelevata, portata in uno stanzino del Tribunale e dopo qualche ora è stata rilasciata con un processo per direttissima per il reato di evasione previsto per sabato 5 novembre.

ST: Raccontaci del processo di sabato
“Sabato è stata giornata strana. Al mattino sono andati a cercarmi a casa mia anche se sapevano che non c’era nessuno.  Sono comunque entrati in casa, controllando dalla soffitta alla cantina.”

ST: Sono entrati senza la tua presenza?
Sì. Non avendo niente da nascondere casa mia è aperta. Hanno aperto il cancello e hanno fatto una perquisizione. Gli animali non so come l’avranno presa… la mia gattina malata di epilessia l’han fatta scappare, poi per fortuna l’ho ritrovata nel pomeriggio. Han lasciato le porte aperte. Quando sono tornata ho provato un senso di violazione, come quando sono venuti la prima volta a giugno.
Poi sono venuti qui in Credenza, dove hanno sempre fatto finta di non vedermi anche se, nella relazione dei Carabinieri, compare il fatto che mi cercavano a casa ma mi vedevano qua in Credenza.
Qui in Credenza non ero sola. Sono entrati a cercarmi, sono scesa subito anche per tutelare le persone che in queste settimane sono rimaste con me, facendo turni e non lasciandomi mai sola. Quello che sto facendo non potrei farlo senza la grande condivisione di tutto il movimento. 
Sono quindi andata a Torino per il processo. Siamo arrivati a sirene spiegate con tanto di paletta fuori. Sembrava tutto davvero un teatrino. Loro erano molto gentili… cercavano di fare conversazione.. pensa che voglia avevo io di farla. Clima fasullo, una rappresentazione.
Arrivati in tribunale si è aperto il grande dilemma, essendo io agli arresti domiciliari, per il processo avrebbero dovuto mettermi nella gabbia degli imputati, ma la mia avvocata si è messa di traverso, mi ha preso per mano e portata accanto a lei durante la discussione.
Lì ho respirato la difficoltà che loro provano di fronte a questa situazione. Perché c’è un appoggio popolare infinito, anche da tutta Italia, come la lettera del Sindaco di Napoli De Magistris, molto forte nei contenuti. Persino dall’America latina è arrivata la solidarietà.
Io ho rifiutato il rito abbreviato. Il significato di quello che si sta facendo è politico: mettere in luce l’uso vendicativo delle misure cautelari. Arresti domiciliari comminati per puro spirito di vendetta e non per vera necessità, anche perché vengono date a distanza di più di un anno dai fatti. E’ un modo per far fuori i manifestanti.
Quello che noto rispetto alla mia storia è la disparità di trattamento che ho ricevuto rispetto a Luca e Giuliano (altri militanti No Tav che sempre nella stessa tornata di misure cautelari avevano disobbedito e sono finiti prima in carcere e poi agli arresti domiciliari). La mia storia è più difficile da gestire per la Procura essendo io donna e di una certa età, ma bisogna andare fino in fondo perché voglio mettere in evidenza questo meccanismo di grande prepotenza, fittiziamente neutro, dietro cui si nascondono. La legge, se fosse giusta, dovrebbe tutelare i diritti di tutti in modo equo. Così non è stato: il giovane sconosciuto può essere portato in carcere tranquillamente mentre la persona anziana no.
(Nicoletta al presidio di Borgone per un caffè d'evasione.
Foto Claudio Giorno)
Ecco, questa questione mi dà veramente fastidio. Io devo dimostrare che anche una 70enne può essere una bomba ad orologeria che può scoppiare tra le mani del potere.
Sono davvero serena, sento di essere dalla parte del giusto e di avere la condivisione non solo qua in valle ma anche di tante realtà, che forse trovano un momento di orgoglio in questa azione che stiamo facendo.
C’è una foto di me con in braccio una cagnolina al processo, un segno della lotta che si fa anche per la natura e per le generazioni future. Mi sembrava anche un risarcimento per le mie bestiole che in questo periodo non mi stanno vedendo a casa.”

Sabato il giudice ha rigettato la richiesta del PM di spostare il luogo dei domiciliari alla Credenza e ha ribadito che la misura fosse scontata a casa sua, in attesa del processo fissato per il 23 novembre.
I domiciliari sono stati chiaramente disattesi una volta tornata a Bussoleno.

ST:  Da giugno è partito il “No Tav Tour – Io sto con chi resiste” che ha toccato diverse città italiane. Quali sono state le impressioni che hai raccolto?
La nostra storia è conosciuta e c’è condivisione. Diventa un punto di lotta per tante realtà che sembrano non trovare soluzione. Si percepisce il malessere diffuso rispetto alla situazione politica, economica e sociale che non risponde ai bisogni reali delle persone. Nella nostra lotta si riversa spesso tanta solitudine e tanto senso d’impotenza. Molti vedono in noi l’antidoto a tutto questo.
Ho sentito anche l’indignazione delle persone soprattutto dopo la proiezione del documentario “ARCHIVIATO – L’obbligatorietà dell’azione penale” che abbiamo portato in giro in questi mesi. Dopo la visione la gente non parla, è un documentario che è un vero pugno nello stomaco. Anche se c’è qualcuno che non conosce bene la situazione oppure pensa che la ingigantiamo, alla fine della proiezione del film viene e ti dice che è indignata.


ST: La questione Tav sta diventando sempre di più un problema giudiziario dato che la politica pare abbia abdicato al suo ruolo, cosa ne pensi?

La percezione è che il potere giudiziario sia strumento politico che a sua volta è strumento del potere economico. Il tribunale fa gli interessi delle banche e del grande capitale mica della giustizia. Tutto si concentra sulla repressione perché politicamente le loro ragioni sono distrutte. Dato che non possono più usare la retorica prendono il manganello e aprono le carceri. Una repressione così forte è il segno che non solo non hanno ragione ma non hanno più la forza di imporre, con una fittizia democrazia, cose che ormai appaiono intollerabili alle persone. Quando ti aprono un cantiere per far guadagnare pochi e nel frattempo chiudono gli ospedali, anche le persone comuni capiscono la bontà della tua battaglia.
Siamo arrivati a uno snodo, al momento in cui non bisogna parare i colpi: non cerco di mettermi in difesa, ma sto portando un attacco rivendicando le azioni. Bisogna andare senza rete perché la nostra forza deve essere il senso della nostra resistenza, di qualcosa che va assolutamente fatto: non si tratta di alzare lo scudo della difesa ma di andare all’attacco.
Ed è proprio questo che li mette in difficoltà perché se alziamo lo sguardo ci si accorge che il re è nudo. Sono grandi e potenti perché pensiamo che loro lo siano. Continuiamo ad interiorizzare una sconfitta che non ha ragione di essere, se noi recuperiamo la percezione della nostra forza che non è mai individuale: ognuno di noi ci mette se stesso, ma la vera forza è quella collettiva. Allora bisogna riscoprire la socialità, il senso della collettività che progetta, agisce e lotta.
Prima si andava a tagliare le reti, poi abbiamo rivendicato il sabotaggio e ora siamo arrivati nel cuore di quella giustizia così ingiusta”.

ST: Raccontaci i momenti più belli e divertenti di questi mesi …
Sicuramente l’allegria e le partite a briscola qui alla Credenza, la tanta gente che è venuta a trovarmi. Ma ciò che mi ha dato più adrenalina è quando sono andata a Roma all’assemblea per la costruzione del No sociale al Referendum costituzionale. Molto entusiasmante è stato anche l’ingresso nell’aula dove si svolgeva l’assemblea, la sorpresa di tutti ma anche l’affetto spontaneo. La mia sagoma mi aspettava alla porta, per cui siamo entrate insieme. E’ stata la vacanza romana più breve della mia vita: in 24 ore sono partita da Bussoleno, arrivata a Roma, 20 minuti in assemblea e siamo ritornati a casa. Li abbiamo veramente beffati. Voglio sottolineare il coraggio delle persone che mi hanno accompagnata a Roma"

ST: Come vedi il futuro?
Per me questa è un’esperienza bellissima che mi dà gioia e serenità, che mi fa vedere queste giornate di sole come la metafora di un’evasione felice, in cui ci credo per davvero.
Non mi sento in ginocchio, assolutamente. Con le mie vecchie gambe che camminano e che vanno verso un futuro che, forse non vedrò, ma che c’è.  Vorrei morire in santa pace vedendo che qualcosa è cambiato… Non pretendo la rivoluzione però insomma vorrei vedere la fine di questo buio fitto e che si possa percepire l’alba di un mondo diverso. Questo sì, lo vorrei proprio vedere".

martedì 1 novembre 2016

OPEN FOR BUSINESS: BORSA DELLA CULTURA, PROJECT FINANCING, JOHN ELKANN. CONTINUITÀ O ROTTURA?

INTRODUZIONE: #eimanè?
Dite la verità, non vi siete stufati di sentir parlare della mostra blockbuster di Manet come se da essa dipendessero le magnifiche sorti e progressive della città di Torino? Certo, sarebbe divertente seguire e rincorrere le dichiarazioni sui giornali, cercando di arrotolare il filo dei comunicati stampa e delle contro-interviste per provare a raggiungere il bandolo della matassa della comunicazione primigenia da cui tutto parte. È impossibile farlo. Abbiamo deciso perciò di andare direttamente all’origine delle fonti, ovvero i documenti prodotti dalla nuova Giunta in questi, pochi, mesi. 

La delibera programmatica più interessante e corposa, riguardante il mondo della cultura e non solo, è quella riferita al progetto “Open for Business” (la tendenza smart al sovra-utilizzo dell’inglese è rimasta invariata in Piazza Palazzo di Città), partorita ai primi di ottobre  dopo una gestazione iniziata ufficialmente il 29 luglio (tenete a mente questa data perché più avanti vi sveleremo una curiosa coincidenza). 

Cos’è “Open for business”? È il piano strategico della Giunta Appendino creato “al fine di concentrare le risorse disponibili per garantire al territorio sviluppo e una duratura prosperità” seguendo tre direttive principali: l’area manifatturiera e produttiva, l’area della finanza e l’area della cultura. Un bel pot-pourri di “marketing territoriale” affidato alle sapienti mani di Paolo Giordana, in virtù della sua funzione di Capo Gabinetto della Sindaca: si è già detto parecchio sul suo ruolo, che la vulgata vorrebbe identificare come Sindaco-ombra o qualcosa di simile. 
La questione nasce dalla delibera di Giunta del 19 luglio 2016 che gli assegna il ruolo di Capo di Gabinetto – Portavoce dell’ufficio di Staff della Sindaca,  cui segue poi una seconda delibera, di settembre, che “amplifica” il suo potere. La novità settembrina è l’istituzione  (senza previa consultazione di personale coinvolto e sindacati) di un nuovo servizio comunale che assomma alle competenze dell'omonimo ufficio già esistente nelle precedenti amministrazioni, quelle relative a tutta la comunicazione del Comune e a manifestazioni ed eventi culturali organizzati sia da Comune che da privati, competenze e personale sottratti ad altri servizi e assessorati dell'Ente. 
Il risultato di questo disposto di delibere risulta, aldilà della posizione di ognuno rispetto alla nuova Amministrazione, comunque anomalo, non essendo prassi fare coordinare indirettamente dirigenti comunali da una figura interna all'ente promossa al massimo livello attraverso l’assegnazione di un incarico di fiducia di una amministrazione previsto solitamente per gli esterni. Vero che il ruolo non è sovraordinato gerarchicamente ai dirigenti comunali stessi, ma in qualità di Portavoce della Sindaca e capo di Gabinetto ha de facto più potere di “moral suasion”, se così lo vogliamo definire. Giusto per fare un po’ di storia breve, fino a Chiamparino il Capo Gabinetto era un direttore comunale, mentre Fassino preferì affidare il ruolo a un esterno (in qualità di dirigente), probabilmente per evitare polemiche simili a quelle odierne (e comunque con competenze molto più limitate rispetto alle attuali).

Perché questo excursus sulle nomine estive? Perché, citando la famigerata delibera relativa al piano strategico Open for Businnes, “alla definizione del piano lavorerà un gruppo composto dal Capo di Gabinetto, Paolo Giordana” e dai dirigenti responsabili dei settori coinvolti. 

Riassumendo, Paolo Giordana è passato da funzionario del Comune di Torino a massimo riferimento nell'ente per quel che riguarda il futuro della città sulle tre macro-aree sopracitate e le nuove competenze culturali e di comunicazione assommate  nel  nuovo servizio di Gabinetto della Sindaca. Mettendo insieme i pezzi, dalla nomina alla costituzione del piano d’azione, verrebbe da citare la classica frase gombloddista “Un caso? Non credo”. Ma passiamo ad analizzare nel dettaglio i temi trattati.


L’AREA MANIFATTURIERA E PRODUTTIVA
“La prima riunione informale (per la stesura di Open for Business, NdA), al fine di evidenziare l’importanza che tale visione strategica ha per l’Amministrazione, si è svolta il giorno 29 luglio, a trenta giorni dalla proclamazione del nuovo Sindaco a seguito delle elezioni svoltesi il 19 giugno.” Peccato che l’ANSA ci comunichi  che nella stessa mattinata  il presidente di Exor e di Fca John Elkann ha incontrato, a Palazzo di Città, la Sindaca Chiara Appendino, tre giorni dopo aver annunciato  che Exor spostava la sede fiscale in Olanda (decisione non commentata dalla Sindaca in occasione dell’incontro). Chissà che non sia stato il Capo Ufficio Stampa Luca Pasquaretta, che arriva dall’universo Juventus, a diramare il comunicato appena citato, giusto per chiudere il quadretto del coinvolgimento degli eredi dell’Avvocato. 
Ma come, davvero volete dirci che la rinascita post-industriale della città riparte dalla stessa famiglia che ha creato il vuoto attuale? Verrebbe da chiedere ai nuovi governanti che cosa avrebbero votato al referendum di Marchionne a Mirafiori nel 2011: avrebbero optato per il “SI” come Fassino e Chiamparino?

Nel concreto, il documento auspica un, condivisibilissimo, insediamento di nuove imprese produttive nella città di Torino, nell’Area Metropolitana e nella Regione Piemonte: siamo contenti che qualcuno si sia accorto che di turismo culturale non si campa, temevamo la riconversione degli operai in guide turistiche entusiasticamente volontarie. E prosegue con l’individuazione dei potenziali investitori (o forse li abbiamo già trovati il 29 luglio?), abbinati a una buttata lì ipotesi di individuazione di una Free Tax Area: mmm... cosa significa? Che questi investitori arrivano, investono, non pagano le tasse, poi prendono e se ne vanno quando e come vogliono? Se questa è la risposta alla ex FIAT che va a pagare le tasse altrove, non è quella che un collettivo di sinistra vorrebbe sentire: certo, siamo solo di fronte a un piano che non ha ancora una sua attuazione concreta, ne conveniamo, ma non vorremmo sentire ripetere in piccolo la retorica renziana delle agevolazioni fiscali per i volenterosi imprenditori che ci concedono l’onore di investire sul nostro territorio.

A questo si unisce l’incenso sparso su “Ateneo torinese e il Politecnico (…) all’avanguardia nel supporto alle start-up, operato tramite gli Incubatori Università 2I3T e Politecnico I3P”: una retorica delle eccellenze certamente doverosa, ma che non ci piaceva neanche quando  farla era Fassino, perché si lega a quella, parallela e contraria, sulle periferie che ha dominato la campagna elettorale. Ricordiamo un Luca Davico (curatore del preziosissimo Rapporto Rota) illuminante in tal senso, che spiegò come le retoriche sulle eccellenze (architettoniche, gastronomiche, universitarie eccetera) sono un ulteriore segno di polarità cittadina, appunto tra centri e periferie: non si punta ad alzare il livello medio ma a mantenere il Politecnico e altri esempi virtuosi col deserto alle spalle. 

Nel Dossier Logistica del piano, invece, verrà inserito il menù riservato agli imprenditori stranieri che vorranno conoscere rapidamente costi e servizi delle aree e degli immobili in cui andare a investire (e costruire con colate di cemento lavico che consuma il territorio?). Ci sembra una versione un po’ arrendevole di un piano industriale cittadino degno di questo nome.


PROJECT FINANCING: LA METRO DUE PARTE DA DUBAI?
In questo contesto di attrazione di investimenti e capitali dall’estero, si inserisce esplicitamente il viaggio della Sindaca Chiara Appendino al Global Islamic Economy Summit di Dubai: l’obiettivo era quello di un bel project financing sulla costruzione (e gestione?) della seconda linea della metropolitana torinese. Considerando che Sistema Torino ha fatto uno spettacolo, Exporto 2022, basato sulla critica a questa pratica diffusa nei Paesi della Common Law e ormai dominante anche nel nostro Paese, quanto ci può piacere questa prospettiva? Ovvio, pochissimo. 

Tale tecnica di finanziamento (in italiano 'finanza di progetto) viene utilizzata per qualsiasi tipo di opera, dall'ospedale alla casa di riposo, dalle strade ai cimiteri, per tutto quanto può essere messo in gestione privata dietro pagamento di un canone da parte di utenti. «Con le ultime modifiche non c'è più il rischio per il privato, ma esiste solo per il pubblico. Ma se il privato riesce a convincere la parte politica sulla necessità di un'opera, riesco a farmi pagare un'opera a proposito della quale non è chiaro se vi saranno gli effetti sperati». Il deputato D'Incà ci spiega come la pratica di finanziamento in questione è stata adoperata, ad esempio, per la costruzione dell'autostrada che lega Brescia a Milano, passando per Bergamo: autostrada completamente vuota ed inutilizzata. «Le aziende costruttrici sono in enorme difficoltà perché si trovano con una strada costruita praticamente nuova, sulla quale era stato fatto un accordo di sviluppo economico per il passaggio di tot macchine, e la Regione Lombardia dovrebbe essere tratta all'interno del progetto per ulteriori finanziamenti, perché non sussistono quelle cifre di traffico che permettevano di far rimanere il progetto in piedi» (da Diario del web, “D'Incà: Il project financing è un sistema criminale legale).  Questa la spiegazione del meccanismo finanziario fatta, ironia della sorte, dal deputato grillino Federico D'Incà. Non abbiamo bisogno di aggiungere altro.

Allargano gli orizzonti oltre la metropolitana, il summit nel Golfo è servito a consolidare un percorso iniziato con la Giunta Fassino, precisamente dall'ex city manager Gianmarco Montanari (altra ironia del destino, tagliato dalla Giunta Appendino in ottica di razionalizzazione dei costi) nel 2014 con “due edizioni del TIEF (Turin Islamic Economic Forum) e una tavola rotonda sul Modest Fashion organizzata in collaborazione con Thomson Reuters Dubai, Dubai Chamber e con il sostegno del Dubai Islamic Economy Development Centre (DIEDC) del Governo di Dubai. Eventi che vedranno una loro continuità nel nuovo Turin Islamic Economic Forum TIEF 2017, dove la Città cercherà di “intercettare investimenti innovativi per la città”, stando a quanto dichiarò in una intervista radio  Paolo Pietro Biancone, professore ordinario di Finanza islamica e coordinatore dell' “Osservatorio sulla Finanza Islamica”, partner del TIEF insieme a Università di Torino e Camera di Commercio.

Insomma, il tentativo è quello di intercettare capitali della finanza islamica, seguendo una tendenza che è globale data l’essenza “no interessi e no speculazione”, principale motivo per cui, secondo molti analisti, la finanza islamica ha superato in scioltezza la crisi del 2008. Il sistema islamico di intermediazione finanziaria infatti, sorto poco più di trent’anni fa, presenta, sviluppi del 15-20% all’anno e la sua attività si ispira ai principi morali ed etici della Shariah, conforme ai dettami del Corano che vieta l’applicazione di tassi di interesse e la realizzazione di profitti basati su una eccessiva incertezza.
Nulla di diverso da quel che ci diceva la precedente Amministrazione e che, altra coincidenza del destino beffardo, nel 2014 il coniatore della locuzione “Sistema Torino” Augusto Grandi riassumeva in un suo articolo su Il Sole 24 Ore

Oltre a questo aspetto economico, l’apertura sempre più ampia al mondo della finanza islamica ha un indubbio e salutare effetto positivo dal punto di vista dell’integrazione della popolazione islamica sul nostro territorio, e qui alziamo la paletta verde dato che su questo tema le “buone pratiche” precedenti devono essere assolutamente portate avanti. 

Certo che, una volta fatte le dovute premesse che ci tutelano dall’accusa di “autarchia finanziaria islamofoba”, ci saremmo aspettati un tocco di originalità e fantasia in più nel reperimento di fondi d’investimento. O forse ci saremmo aspettati un reale cambio di prospettiva a 180 gradi, con un punto di partenza che sia concentrato sulla reale necessità dei grandi capitali che “investono a prescindere” senza una precedente riflessione sulla natura e destinazione dell’investimento stesso: l’impressione è che la “decrescita felice” sia uno slogan infelice e immotivato utilizzato dalla sterile opposizione cittadina più che una reale impronta dell’attuale Amministrazione sul proprio agire. 


LA BORSA DELLA CULTURA: VENGHINO SIORI VENGHINO
Non ne avete ancora abbastanza? Peccato, perché resta ancora il tema della cultura, giusto per riprendere l’incipit del nostro approfondimento e creare una circolarità come in tutti gli spettacoli fighi che si rispettino.

“L’Amministrazione considera indispensabile utilizzare la rete di rapporti internazionali consolidati della Città e quelli che andranno a strutturarsi grazie all’avvio del programma “Open for Business” per far diventare Torino un hub culturale a livello europeo e mondiale.” Mumble mumble: e la riflessione sulla politica dei grandi eventi? Cosa si intende con questo, si vuole proseguire sulla strada delle mostre-blockbuster alla Manet oppure trasformarsi in produttori di cultura, come le dichiarazioni tanto elettorali quanto recenti dell’Assessora alla Cultura Leon sembravano indicare?

La delibera prosegue: “è indubbio infatti che sia crescente la richiesta di cultura, in particolare italiana, in molte parti del mondo. Le più recenti normative, inoltre, consentono anche a Enti pubblici, quali ad esempio i musei, di concedere diritti, affittare opere o commercializzare prodotti d’arte al fine di strutturare, anche in Italia, un mercato di beni e servizi relativo alla cultura”. A questo punto siamo trasaliti: per carità, nulla ormai ci scandalizza, sappiamo che questa è la tendenza internazionale, e forse non può essere una semplice Amministrazione a fermare una valanga con le mani. Ma se la cultura va separata dal turismo, come sempre sostenuto dalla Giunta in carica, a maggior ragione ci ferisce il cuore vederla accostare a concetti come “mercato” e “commercio”, e non osiamo immaginare quanto stia sanguinando il cuore di illustri esponenti del mondo dell’arte come Tomaso Montanari, che proprio su questo blog confutò la visione mercatista della cultura.

Giusto per squartare completamente il petto dei seguaci del pensiero alternativo di Montanari, nel testo della dilibera di istituzione del progetto si dettaglia  la necessità della creazione di un portale web delle opere d’arte dei musei del mondo “al fine di strutturare uno strumento economico, agile e diffuso in tutto il mondo per far incontrare i player culturali consentendo loro non solamente di conoscersi ma di avviare rapporti economici.”

Game, set and match per la visione mercatista della cultura, che vince a mani basse abbracciando tutto l’arco costituzionale cittadino. E ci troviamo così, come ultimo round dell’incontro Asproni-Appendino/Leon, a dover assistere alla disputa sulla maternità della "Borsa internazionale della Cultura-International Culture Stock Exchange” prevista per ottobre 2017 a Lingotto come punto di incontro degli utenti della suddetta piattaforma: insomma, una gara tra vecchio e nuovo su chi è la reale avanguardia smart&cool nel mercato della cultura. Per tale Grande Evento, che sfrutterà i giorni aggratis del Centro polifunzionale del Lingotto, una delibera di settembre  ha stimato una spesa di una bella 250.000 euro. Peccato che nel frattempo Asproni ravveda una forte similitudine con la "Borsa Internazionale delle Mostre-Art&Museum international exhibition xchange" del 2014, organizzata dalla Fondazione Industria e Cultura (di cui è Presidente), e per questo faccia inviare al Comune dal proprio avvocato una lettera di diffida. 

Insomma, alla fine della fiera (anzi del Grande Evento), quest’ultima disfida sembra confermare che la strada intrapresa è quella della continuità nelle pratiche e nelle idee sottostanti, a prescindere dalle istituzioni e dalle personalità che portano avanti il progetto. Al momento, un po’ pochino per permetterci di parlare di una ventata di aria nuova.