mercoledì 27 aprile 2016

Grazie Torino: asilo politico, debito, accoglienza

E’ domenica pomeriggio, sto facendo le pulizie di primavera, bello perché mi isola da tutto il resto, il sole filtra dalle finestre mentre l’indie-rock rimbomba contro i muri e la casa comincia a risplendere di luce propria. 
Tutto fila per il verso giusto insomma, finché una sistemista non decide di rovinarci la giornata “proponendoci” l’articolo del giorno: rifugiati perlopiù pakistani e nigeriani stanno facendo le “pulizie di primavera parallele” in città. 

Zerocalcare risponderebbe “esticazzi?” ma noi siamo più prosaici e cerchiamo di capire la notizia, che è la seguente: un centinaio di rifugiati rientrano in un accordo Amiat-Comune che “permetterà” loro di lavorare, a titolo gratuito, per tre mesi tutti i sabati dall’alba al primo pomeriggio. Entusiasta la dichiarazione del vicesindaco Elide Tisi: "Si restituisce alla città quanto è stato offerto per l'accoglienza". Primo obiettivo: ripulire la zona della Gran Madre ai piedi della collina. Mentre mi scuso per l’ utilizzo dell’ ossimoro “lavoro gratuito”, mi chiedo se esiste una metafora più perfetta di un rifugiato che raccoglie le cartacce al mattino presto sotto l’ombra delle ville del gotha del potere economico-sociale della città.

Vado quindi alla ricerca di una definizione rapida dello status di rifugiato, che è la seguente: “Lo status di rifugiato è uno dei possibili status – il più forte – di cui può godere uno straniero o un apolide che accede al diritto d’asilo in Italia; esso ha come presupposto il timore fondato di persecuzione individuale dello straniero nel suo Paese e consiste in una serie di diritti e doveri riconosciuti alla persona in tutti gli Stati del mondo in cui è in vigore la Convenzione di Ginevra e specificati da norme dell’Unione europea che includono lo status di rifugiato tra le figure che danno luogo alla protezione internazionale, insieme allo status di protezione sussidiaria.” 

Un po’ lunghina, lo ammettiamo, ma importante: per esempio ci ricorda che tale status viene riconosciuto a chi fugge da guerra e persecuzione; insomma, dalla morte sicura, o quasi. E su quei barconi rischiano la morte per fuggire dalla morte. 
Pesa eh quel groppo in gola che viene a leggere tre volte di fila la parola “morte” in due righe? Ecco, andando avanti nell'approfondimento giuridico di tale status, non abbiamo trovato ove rientra la possibilità di mandar loro in giro  per la città con la scritta 
“GRAZIE TORINO”  (PREGO NEGRO).
Ah ecco, grazie per cosa? Beh, per la nostra magnanimità nell'accoglierli, per le possibilità che gli offriamo, noi che ci siamo fatti il mazzo per costruire questa nazione e questa città così prospera e giusta (Sigh!). Solo che poi c’è l’altra vocina, l’armadillo di Zerocalcare* per intenderci, che ci chiede: cioè fuggono da guerre fame e miseria e devono pure svegliarsi alle cinque del mattino per ringraziarci pulendo le nostre cartacce? Per sdebitarsi? Ed il nostro credito in cosa consiste? Da cosa deriva, dall'essere nati dalla parte giusta della Terra?
Tale operazione, ça va sans dire, viene inaugurata in pompa magna, con foto articoli e video connessi, per poter entrare a gamba tesa nella campagna in corso: è costernante sapere che qualcuno abbia pensato che tutto ciò produrrà dividendi elettorali. Ancor più costernante è accorgersi che ha ragione: il voto di destra sarà decisivo in caso di eventuale ballottaggio, e siamo sicuri che quella scritta a caratteri cubitali solletica parecchi animi scuri ed oscuri della capitale sabauda.

Come se non bastasse, tutto ciò avviene a ridosso del 25 aprile, quella Festa della Liberazione cheil Presidente della Repubblica nonché una circoscrizione di Torino a maggioranza PD hanno deciso di intitolare ai due marò (sempre nei nostri pensieri). Premesso che nessuno può permettersi di dedicare la ricorrenza della liberazione dal nazi-fascismo a niente e nessuno, che tu sia istituzione o semplice cittadino, Sistema Torino ne ha “approfittato” per riflettere ad ampio raggio sullo stato della nostra società e sceglie proprio questa settimana incastonata tra 25 aprile e primo maggio per lanciare un auspicio, a vantaggio dei rifugiati, migranti, immigrati neri gialli verdi: auguriamo loro (e a noi) che il nostro Paese “di accoglienza” incontri una nuova Liberazione. Una Liberazione dall’ignoranza, dal pregiudizio, dal Noi contro Loro, dalla presunzione di essere dalla parte della ragione, quella ragione che ci fa sentire “persone meglio” nel mandare dei rifugiati in giro con un ringraziamento sulle spalle.
Auspichiamo una Liberazione dalla guerra tra poveri, dai post che sottendono una inferiorità dell’immigrato in quanto tale, che sia una romena che festeggia la scarcerazione dopo nove anni di carcere (vero Gramella?) o un siriano che fugge dall’orrore. 
In fin dei conti è tutto coerente: settant’anni fa i nostri nonni andarono sui monti per liberarsi e liberarci dal fascismo quello vero, quello che ammazzava ebrei negri froci. Settant’anni dopo abbiamo cambiato il termine con cui li definiamo, ma è rimasto invariato il senso di diversità e di alterità sotteso. 
E’ giunta l’ora di una nuova Liberazione: per i nostri avi partigiani, per noi stessi, per gli esseri umani in cerca di pace e di tranquillità, per il mondo che lasceremo ai nostri figli.

*La reiterazione dei riferimenti a Zerocalcare è un messaggio subliminale molto semplice: andate a comprarvi “KOBANE CALLING” e leggetelo. Vi entrerà sotto pelle.

1 commento:

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