giovedì 25 febbraio 2016

Decennale olimpico: Sistema Torino a confronto con Pagliassotti




Sistema Torino continua nella propria missione e porta nuovi contributi alla causa olimpica, ovviamente con lo stile che lo contraddistingue. Oggi abbiamo deciso di guardarci allo specchio e porre alcune domande (quelle che ricorrono più spesso in tempi di entusiastico decennale) ad uno dei nostri fondatori, Maurizio Pagliassotti, ora attivo su altri progetti, che nel 2006 e negli anni precedenti fu uno dei più attenti giornalisti analisti critici della questione olimpica.

Proviamo ad uscire dall'incanto che ci vuole cittadini felici spettatori di un rilancio della città fatta di fuochi d’artificio ed eventi internazionali, e proviamo a vedere le colorate adunate di piazza attraverso un altro punto di vista. L’amico Paglia non poteva che essere il miglior fornitore di questo diverso cannocchiale.

Le Olimpiadi hanno cambiato il volto della città ed hanno reso il torinese simpatico ed aperto al mondo (Evelina dixit): cosa ne pensi?

Penso che sia una maleducata. E’ un’idea offensiva, profondamente. Lo sa la signora che a Torino negli anni ‘60 c’era il maggior numero di sale da ballo pro capite d’Italia? Secondo questa irrispettosa teoria è esistito un tempo in cui i torinesi erano tristi, infelici e grigi. Interessante. E come mai lo sarebbero stati? Forse perché gli Agnelli volevano una città concentrata solo sul produrre pezzi di ferro? L’idea per cui le olimpiadi sono state importanti “perché hanno cambiato mentalità” è un escamotage retorico per spostare l’attenzione dal disastro materiale, questo sì accaduto, su vaghe mete psicologiche culturali.

Non credi che dopo la scomparsa della one-company-town fosse necessario adottare nuovi modelli socio-economici, che sembrano vincenti altrove? 

Il modello vincente di cui si straparla a Torino è basato sullo sfruttamento della rendita da parte delle nuovi generazioni. Non ci fossero i risparmi, gli appartamenti e i garage da affittare, il gruzzoletto accumulato dalla generazione che ha lavorato in fabbrica Torino, e tutte le altre città che tentano questa trasformazione, il tessuto sociale sarebbe collassato da tempo. Nonché gli ultimi rimasugli di stato sociale: migliaia di lavoratori della Fiat, quella del cambiamento psicologico di Torino, sono in cassa integrazione da anni. Chi tiene in piedi Torino sono le ultime fabbriche sopravvissute, i nonni e lo Stato: il resto puntella qua e là questa impalcatura. Il turismo in particolare, ha dimensioni così piccole da risultare accessorio. Certo è un settore che tira ma sostenere che sia sostitutivo della manifattura è privo di senso.

Contestare il pareggio di bilancio e “buttarla sul debito” ogni volta che si parla di Olimpiadi non è un corto-circuito ideologico? 

Per un socialista lo sarebbe. Ma il problema è che il socialismo non è più tecnicamente possibile, nemmeno le forme più blande. La privatizzazione del sistema bancario, l’euro, e le leggi di bilancio sovranazionali hanno trasformato il concetto stesso di debito. Il debito oggi lo paghi tutto, il debito è in ogni caso privato a non più pubblico, e lo paghi con i beni dei cittadini. Compito della politica dovrebbe essere quello di non fare debito e nel caso ridurlo senza vendere posate e lenzuola: troppo complicato. Soprattutto a Torino.

Torino è la Capitale della disoccupazione giovanile: cosa avremmo potuto fare se non investimenti in grandi opere che creano occupazione? 

Gli impianti olimpici marciscono: a spanne sono stati buttati un miliardo di euro. Idem sarà, ma moltiplicato per 25 e su scala nazionale, con l’alta velocità: totalmente inutile. Con un miliardo di euro crei un sistema educativo pubblico d’eccellenza, investi sulle periferie seriamente. Valorizzi il futuro stesso. Hanno preferito fare una festa di quindici giorni per poi dire che vengono i turisti. In ogni caso grandi opere e grandi eventi sono volutamente disastrosi. Sono potenti meccanismi estrattivi, trivellazioni del patrimonio pubblico. Come diceva Friedman è necessario creare una perenne situazione di crisi debitoria per privatizzare tutto. Così è stato e così sarà.

I Grandi Eventi portano turismo e rilanciano la città come luogo dei servizi: cosa vedi di sbagliato in questo paradigma? 

Torino, come l’Italia, ha un cancro che la sta divorando. E’ il cancro della globalizzazione. Olimpiadi e grandi eventi sono farmaci palliativi. Sul cancro che ci sta divorando si dovrebbe incidere profondamente con leggi locali, nazionali e sovranazionali. Preferiscono dare acqua e zucchero e dirci che tutto andrà bene.

Paglia, parliamoci chiaro: in Piazza in questi giorni ci sono e ci saranno migliaia di persone entusiaste che riempiranno la città di giubbotti colorati, vecchi e nuovi volontari che si spendono per il grande sogno collettivo. Perché dobbiamo invece proporre una visione depressiva della città e del futuro dei suoi abitanti? 

Concordo e rilancio citando la teoria delle catastrofi: quando sei in una catastrofe la soluzione migliore per uscirne è entrare dentro una catastrofe più grande.

1 commento:

  1. e hai detto tutto, ma come mai i torinesi si ostinano a votare greganti e compagni ?????????

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