lunedì 11 gennaio 2016

Da Colonia a Porta Palazzo: le tribù etniche e la paura del diverso


Se la lettura del quotidiano è la preghiera laica del mattino, gli affezionati de “La Stampa” con il cappuccino della domenica si sono ritrovati ribaltati indietro di qualche secolo nel praticare il loro rito, con richiami osceni al tribalismo barbarico che invade l’Europa e la retorica del “noi contro loro” che riporta alla mente il fascismo vero novecentesco e quello strisciante nella società in crisi di oggi. 
I fatti di Colonia sono lì pronti per essere strumentalizzati, si è già detto tutto ed il contrario di tutto ma il punto di riferimento giornalistico di ogni torinese decide di fare un salto di qualità così ardito da meritare la citazione diretta da parte de “Il Giornale” di Alessandro Sallusti. 
Ma procediamo con ordine: sulla cronaca di Torino la giornalista Letizia Tortello decide di fare un reportage d’inchiesta dalla zona di Porta Palazzo e ci riporta uno specchio della realtà che lascia di stucco chi, uomo o donna che sia, è abituato a frequentare questo ed altri quartieri della città. L’incipit rende subito l’idea di dove si andrà a parare: “Diciamo così, qui non ci siamo più abituate”. Qui dove? Noi chi? Eppure sono le stesse strade che la mia compagna, le mie amiche, finanche mia sorella con la mia nipotina sono arrivate a frequentare ogni sabato tra il mercato della frutta e verdura e quello dell’usato del Balòn: raramente le ho sentite raccontare la lunga serie di molestie verbali che vengono collezionate in questo articolo. 

Molestie che arrivano da “ragazzo sulla quarantina di origine marocchine” (SIGH!), perché dai, si sa, se sei negro resti comunque un ragazzo e arrivi dal Marocco anche se sei nato a Tunisi o vicino Algeri; come se non bastasse, si passa poi alla differenziazione etnica dei comportamenti con i cinesi che si fanno i fatti loro e gli africani che fanno affari con armi droga e donne insieme a “qualche italiano” (ci siamo anche noi ma siamo di meno, siamo più bravi), ed i marocchini che continuano a fare categoria a parte (Il Marocco non fa parte dell’Africa secondo la stereotipizzazione comportamentale etnica). La chiosa riguardo l’abbigliamento con tacco otto rossetto e cappotto per fare la spesa al Balòn è un capolavoro che permette al principale giornale sabaudo di esplicitare il diritto di ogni cittadina ad avere paura, terrore, a pensare che alla fine con quelli lì in giro sia meglio chiudersi in casa e fare acquisti solo nei centri commerciali. Chiariamoci da subito: una donna deve (DEVE, lo voglio urlare) essere libera di andare in giro vestita come vuole, dove vuole, a qualsiasi ora del giorno e della notte. Non c’è molto da aggiungere, è tutto così semplice e disarmante. Le molestie ammiccanti sono un reato, sono la dimostrazione palese dell’arretratezza culturale del maschio, del maschio in quanto tale, mica solo del marocchino di Porta Palazzo. E qui sta la fallacia del combinato Tortello/Molinari di ieri: vi confesso che rileggendo le molestie citate ho pensato ad alcuni commenti sulla barista uditi al bancone del locale il sabato sera e tocca ammettere che la distanza non è così siderale da permetterci di dare lezione di civiltà e di parità di genere a nessuno.
Qui però l’obiettivo sembra un altro, e per questo entra in ballo la ventata di novità portata dal nuovo Direttore: l’editoriale domenicale esorta a salvare l’Europa dal ritorno alla barbarie causato dall'arrivo di migranti e richiedenti asilo. Illuminante questo passaggio: “Fra chi arriva vi sono portatori di usi e costumi che si originano dalle lotte ataviche per pozzi d’acqua, donne e bestiame. Le conseguenze sono nelle cronache di questi giorni: dagli abusi di massa a Colonia al grido di «Allah hu-Akbar» per intimorire il prossimo a Brescia e Vignola”. A questo punto il gioco di sponda tra editoriale e cronaca locale è evidente a tutti: il parallelismo tra Porta Palazzo e fatti di Colonia è fin troppo chiaro. Le zone popolate da immigrati di lingua araba sono un pericolo, è un conflitto tra la civiltà (la nostra) ed il loro tribalismo atavico che, diamine, neanche con un sano colonialismo siamo riusciti ad estirpare. Chissà quanto avrà goduto il “giornalista” de “Il Giornale” nel richiamare stralci del pezzo de “La Stampa” mettendo in neretto le parole “ragazza torinese” (LE NOSTRE DONNE!), “nigeriani” e “Yassin da Marrakech”. Un bel cortocircuito che eleva la percezione del pericolo a scienza esatta, che porta la paura direttamente nelle case degli italiani, in un periodo in cui (come si può vedere dal grafico) i cittadini temono maggiormente ciò che ha minor probabilità di incidenza sulle loro vite: siamo ormai sicuri di incontrare la morte per colpa di un attacco terroristico o di un incidente aereo, mentre le cause di morte più diffuse sono ben altre, e non sono per nulla correlate all “invasione dello straniero” o al supposto scontro di civiltà.
Mai come oggi i mezzi di comunicazione hanno una responsabilità importante nel “tenere a bada” ansie e paure che non hanno ragion d’essere, o perlomeno non meritano di essere amplificate oltremodo. I ”cani da guardia del potere” dovrebbero diffondere la conoscenza della realtà e non prestare il fianco a retoriche populiste e xenofobe che rischiano di essere dei pericolosi detonatori sociali.

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