martedì 17 novembre 2015

DA #JESUISCHARLIE A #JENESAISPAS: COSA È CAMBIATO IN DIECI MESI?

Ogni volta è sempre più difficile da accettare: per fortuna non ci si abitua mai e si cerca di respingerne idee ed immagini. Venerdì sera mi è caduta la vodka dalla mano (seppur non fossi ad un concerto alternativo come i fratelli hipster del Bataclan) di fronte a quanto accaduto a Parigi: sai che queste cose accadono, hai ancora negli occhi l’attacco di gennaio alla redazione del giornale satirico che adori, ma rimani incapace di reagire, per quanto le bombe ed il terrore esplodano urbi et orbi quotidianamente.

Una esplosione parallela su Facebook di teorie e complottismi, solidarietà e post anti-solidarietà mi ha portato alla decisione di spegnere tutto per un giorno e fare l’unica cosa che un cittadino inerme ha nelle sue potenzialità: passare il sabato a Porta Palazzo a praticare tolleranza. 

Poi però non basta, e quel “Perché?” ti rimbomba nella testa, vuole saperne di più, a costo di dover affondare nella sporcizia (di cui tutti, io in primis, facciamo parte) della comunicazione social: la rete sta diventando il nostro mondo reale odierno in cui andare a vomitare il nostro disagio, e forse anche su questo dovremmo riflettere.


LIBERTA’ O DIRITTO AL CONSUMO?  
Oltre il velo delle bandiere francesi e del (sacrosanto) lutto diffuso, la reazione dell’Occidente è un perfetto exemplum di ciò che siamo e ciò che vogliamo: consumatori che vogliono mantenere il diritto al consumo, perché altro più non siamo e non vogliamo essere
A noi interessa poter guardare la partita di pallone ed il concerto degli Eagles of Death Metal (ascoltateli tra l’altro, sono tanta roba), sedersi in un caffè e chiacchierare: è stata la prima preoccupazione dei nostri governanti, continuate a farlo altrimenti siamo spacciati. Non vi preoccupate delle bombe, è colpa di quei “bastardi islamici” che vogliono colpire l’umanità e la nostra libertà. La verità è che ci siamo persi qualcosa, e non ci siamo neanche accorti di quello che è successo intorno a noi in tutti questi anni: è  l’unica spiegazione razionale del nostro stordimento e della nostra incredulità di fronte ad un terrore (bieco, terribile, ingiustificabile) che altri cittadini del mondo vivono con maggiore intensità. 
Forse c’è bisogno di fare un passo indietro e guardare cosa è successo il giorno prima (a Beirut per la precisione) e poi quello prima ancora, fino ad arrivare alle Torri Gemelle e studiare un po’ di storia bellica dal 2001 ad oggi. E mi fermo all’ 11 settembre 2001 giusto per non tediarvi con un manuale di storia che dovrebbe andare a ritroso fino all’accordo Sykes-Picot, con il quale le potenze occidentali disegnarono il futuro Medio Oriente dopo la Prima Guerra mondiale. Una infarinatura ed un ripasso sono però necessari, giusto per evitare di cadere nel tranello della strategia (perfetta) dell'ISIS di polarizzare le reazioni ed eliminare la "zona grigia" portando tutti agli estremi: il fine terroristico è quello di scatenare la contro-reazione occidentale di chiusura verso il diverso, di suscitare nuove ondate razziste che spingano il musulmano europeo tra le braccia dei seminatori di odio. Come potete vedere, l’ISIS ha già trovato degli alleati nella civile Europa, ed essi portano il nome di tutti i Salvini del Continente che smerciano becere xenofobe soluzioni prêt-à-porter in cambio di voti.


ESPORTIAMO ARMI E DEMOCRAZIA
Circa un mese dopo il crollo delle Torri, abbiamo iniziato il bombardamento dell’Afghanistan (sono lì i bastardi, andiamo a prenderli!), per poi proseguire nel 2003 con la Seconda Guerra del Golfo, finita ufficiosamente ma de facto ancora in corso. Il conflitto in Iraq è stato dichiarato chiuso (come se fosse una stagione teatrale) nel 2011, giusto per poter aprire il balletto in altri contesti (sia mai che qualche cittadino occidentale si accorga di un palinsesto bellico troppo affollato per l’archetipo occidentale di democrazia): quali sono i contesti in corso? Ecco, lo chiedo a voi, voi che sfogliate Libero il sabato mattina al bar davanti ai miei occhi, con una spocchia che mi avrebbe spinto ad alzarmi e vomitare il mio odio con una foga tale da far impallidire la profetica Oriana dei bei tempi andati. 
Nel 2011 abbiamo deciso di intervenire in Libia (autorizzati da una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, giova ricordarlo) iniziando con un attacco aereo francese alle forze militari di Gheddafi (sì, quello cui Mister B. baciò le mani), trasformandosi in seguito in una operazione sotto l’egida NATO conclusasi con la morte del non più utile dittatore libico. 
Nello stesso anno nel mese di febbraio (è noioso solo leggerle tutte queste guerre vero? Immaginate di doverle vivere sulla vostra pelle di cittadino di un qualsiasi area mediorientale poi ne riparliamo) si tenta prima la carta dell’insurrezione e della guerra civile “pilotata” in Siria, insufficiente ad abbattere il tanto sanguinario quanto popolare Presidente Bashar Al Assad, per poi passare ai bombardamenti diretti da parte della coalizione di “Paesi civili Occidentali”, capeggiati dagli Stati Uniti del Nobel per la Pace Barack Obama. 
Lo scacchiere nel frattempo si complica: l’ISIS avanza alle loro spalle conquistando nel corso del 2014 città come Raqqa in Siria, Falluja, Mossul e Tikrit in Iraq, mentre i curdi conducono la loro battaglia personale contro l’ISIS conquistando perdendo e riconquistando Kobane (leggetevi Zerocalcare a riguardo giusto per avere un’idea di cosa significhi per la popolazione quel conflitto). L’intervento diretto dell’ Iran prima e della Russia recentemente, ovviamente al fianco dell’alleato storico Assad, nel conflitto ci porta ai giorni nostri (scusandomi per la sintetica banalità del riassunto): la Siria è diventata un teatro di guerra che vede in scena la recrudescenza della Guerra Fredda in contemporanea con il supposto conflitto di civiltà tra Occidente e Medio Oriente, quel Medio Oriente in cui è nel frattempo in corso una disputa interna all’ Islam e che l’ISIS sta cercando di vincere ad ogni costo. Insomma, un polverone di proporzioni inusitate, dove l’ Occidente non ha certo mancato di giocare il suo ruolo storico: burattinaio che prende e sposta pedine, arma supposti movimenti democratici e rivoluzionari per poi ritrovarseli contro qualche mese dopo (come pensate che sia nato l’ISIS?). Dalla fine della Guerra Fredda necessitiamo di un teatro di guerra permanente dove dare libero sfogo ai nostri impulsi più bassi ma soprattutto ove alimentare la nostra industria bellica, unica fonte certa di PIL e di crescita economica continua. 

BEIRUT COME PARIGI?
E noi cosa abbiamo fatto nel frattempo? Beh, nulla, salvo baloccarci all’interno del nostro mondo di concerti, teatri e stadi (il panem et circenses continua a funzionare anche se la crisi ci ha tolto il panem), salvo poi svegliarci un giorno e dire che l’umanità è sotto attacco e che bisogna difendersi da questi sciocchi nemici dell’essere umano. 
E non ci accorgiamo neanche che il giorno prima siano stati dei bastardi islamici a morire a Beirut, per mano degli stessi incappucciati neri che girano con fiammanti Toyota americane nuove di pacca (chi gliel’ha fornite?): anche perché, diciamocelo chiaramente, non sappiamo neanche dove sia Beirut (Libia? Libano? Libico? Eh, qualcosa del genere) e forse neanche ci interessa. Così come abbiamo fatto quasi finta di nulla di fronte all’aereo russo abbattuto qualche giorno prima da qualche membro dell’ ISIS
Quello che davvero vorremmo è solo continuare a vivere nel nostro mondo ovattato, mantenendo il più lontano da noi l’orrore di quelle immagini raccapriccianti: peccato che nel frattempo quel lungo elenco di guerre del nuovo millennio siano state compiute nel nostro nome, per difendere la nostra libertà di bere vodka ogni venerdì sera, una libertà per la quale siamo disposti a tutto. Ed è un peccato che in quel tutto ci sia la risposta energica e muscolare dell’Hollande di turno, che non trova nel weekend nessun’altra soluzione (per noi intellettuali amanti dell’alcool è certamente più facile impegnarsi il fine settimana, lo ammetto) che alimentare la spirale di terrore intensificando i bombardamenti in Siria. 

E la cosa più triste di tutto questo è la reazione del suddetto omino al bar che sussurra “beh ma loro sono abituati”. Nel frattempo lo schema dell’ ISIS si concretizza alla perfezione: opposti estremismi, odio a volontà e bombe che continuano a piovere sulla povera gente. 
E, come scrive Liberation, ci vorrà coraggio, molto coraggio da parte nostra per continuare a fare ascoltare con forza una voce umanistica sotto il rumore dei proiettili.
Paolo Tex

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