venerdì 10 aprile 2015

Colapesce va a Torino

Oggi 10 aprile 2015 viene inaugurato ufficialmente il grattacielo fatto costrutire a Torino dalla banca Intesa San Paolo come sede per i propri uffici (e non solo). Lieti che dell'esistenza della ingombrante struttura si prenda atto anche ufficialmente con tanto di cerimonie, celebriamo l'evento pubblicando una favoletta sui grattacieli della città, dei quali questo è il primo esemplare a essere completato e quindi ufficialmente riconosciuto come simbolo del futuro torinese. Certo, pero' solamente fino a quando non sarà pronto il nuovo porto: da allora saranno altre le costruzioni che affiancheranno la Mole nell'immaginario dei cittadini.

Nicola, detto Cola era un ragazzino molto vispo dalla pelle liscia e scura. Negli occhi portava tutte le ricchezze del mare: alghe, coralli, conchiglie e stelle incrostate di sale. Cola amava nuotare più di ogni altra cosa al mondo e quando s'immergeva niente e nessuno per lui più esisteva. Un giorno di sole, in un  qualsiasi reame Cola si tuffò e la mamma a chiamare:
“Cola, Colapesce!”
“Cooola, Colaaaa!”
Ma niente da fare, Nicola aveva tutt'e due le orecchie tappate dal mare. La mamma, indispettita allora imprecò:
“Se il mare ti piace così tanto, che tu possa esser pesce! Io non ne avrò rimpianto!”
Detto, fatto. Così fu: Colapesce la terra non la toccò mai più. In compenso toccò tutti i mari d'Italia: dallo Ionio all'Adriatico. Dal mar di Liguria a Bonifacio, toccò il Tirreno e il Canal di Sicilia esplorando i fondali senza cartina. Nuotò per tutti questi mari guardandosi intorno, e ad ogni sguardo restava incantato per quel che il mare gli aveva regalato. La terra gli faceva da orizzonte e ben presto s'abituò a rimirar le stelle da sotto quella distesa coperta del mare.

Cola vide Ischia, Capri e Trieste e vide Genova, Rimini e  Mestre. Vide Leuca, le Tremiti e Oristano, vide Lipari, Salina e Vulcano. Imparò a far salti così alti e belli da far invidia persino agli uccelli. Nuotò e nuotò e conobbe balene, pesci spada, delfini e sirene. Un bel giorno nuotando sul fondo s'imbatté in un pesce bello tondo tondo. Il pesce più grosso allora gli ebbe a dire:
“Hai sentito Cola quel che si dice in giro? Sembra ci sia un nuovo mare a Torino!”
Cola incredulo non poté aspettare e subito subito si mise a nuotare.
Nuotò e nuotò finché non fu stanco. S'immise nel fiume e sfidò la corrente fino a quando non fu in mezzo alla gente.
Giunto a Torino Cola dimenticò ogni stanchezza, scordò la fatica e si fece prender dall'ebbrezza: fece allora un guizzo così alto che tutta la gente non poté non ammirarlo e tutti guardarono improvvisamente in alto e vociarono e urlarono: “Wuau! Che salto”.

Ora, dovete sapere, che a Torino era tempo di grandi bufere. Tirava da mesi un vento fortissimo e nessuno riusciva a indovinarne il perché.
Quando i torinesi videro Cola guizzare a quel modo, si accorsero subito ch'era un essere speciale, che pesce non era, né uccello né uomo ma che possedeva le virtù di tutte e tre quelle nature animali. Non si poteva non approfittarne: Colapesce avrebbe potuto salvare la città e tutti i cittadini. I torinesi, allora, disperati e cortesi, subito lo invocarono in preghiera:
“Cola! Nicola! Pesce potente! Aiutaci, salva questa povera gente! Questo vento che soffia con tanta veemenza da dove viene? Non si può fare senza?”

Cola non aveva mai amato la gente, era sempre stato molto diffidente. Le persone, si sa, fanno cose tremende: ammazzano, rubano, fanno alla guerra. Rendon private le cose di tutti, abbattono gli alberi e pretendono i frutti. Vogliono solo potere e denaro, non ti guardan negli occhi né ti stringon la mano, con la scusa del debito si prendono tutto ci tolgono l'acqua, ci lascian all'asciutto! Ma Cola era buono e, a sentir quel lamento, non riuscì a rifiutarsi e schizzò nel vento. Volando e nuotando nel cielo più alto Cola comprese la causa del pianto. Vide tre torri issate nel cielo, una stretta e appuntita, come la punta di una matita, una più alta ma non del tutto costruita ed una brillante, appena finita tutta di cristallo rivestita. Cola guardò il cielo e comprese perché la gente penava in quel paese: il cielo, poveraccio, era ridotto uno straccio. Era tutto bucato, ché quelle due torri lo avevan stracciato. Non fu la Mole, bella, alta e stretta,  il cielo aveva spazio tutt'intorno alla sua vetta, ma quei due brutti cubi di cemento che ruppero il cielo e provocarono il vento.

Cola allora fu preso da rabbia:
“I vostri grattacieli fateli di sabbia! Non lo vedete che qua è tutto rotto! Sto povero cielo è tutto bucato! Ste torri lo soffocano, gli tolgono il fiato? Per forza si straccia e vi sbatte la faccia! Basta! Vergogna! M'avete scocciato! La terra è un deserto, il cielo è grattugiato! Toccatemi il mare e ve la farò pagare!”

Così dicendo Colapesce si rituffò in acqua. Nessuno rivide mai più la sua faccia. Mai più sulla terra  ci darà una mano perché sa che l'uomo è un grande villano. Con quell'ultimo guizzo si rituffò e nessuno mai più lo ritrovò.

Colapesce non c'è, non esiste è un'idea. L'uomo, invece, persiste e non c'è panacea: gratta i cieli e la terra e, si potesse grattare, gratterebbe anche il mare: ma una grattugia per l'acqua, per grande fortuna, la deve ancora inventare!
Chiara Vesce


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