lunedì 1 dicembre 2014

I forconi e l'ideologia del rattoppo

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E quindi torneranno i "Forconi" venerdì prossimo. Contro chi, contro cosa, non si sa.
Soffia sul fuoco della crisi un vento teso, che vuole incendiare le periferie.
Forse non è ancora ben chiaro cosa stia capitando nei bordi delle nostre città e, nel nostro caso, a Torino.
Non è chiaro che il "disagio", delicata parola utilizzata per coprire la ben più sporca e puzzolente "povertà", non ha origine all'interno delle dinamiche presenti sul territorio. 
Lì si evidenziano solo gli effetti della crisi di un sistema, ben al di là di ciò che è la realtà in essere.
I vasti spazi verdi, le Case del Popolo (Case del Quartiere in neo lingua de ideologizzata) dai belli e importanti programmi sociali, le riqualificazioni lì e là, il giornalino di quartiere, la cittadinanza attiva, il bus che ti porta in centro il sabato sera, un Renzo Piano epico che di tasca sua salva le periferie facendo lavorare anche i giovani. E ancora il cinema d'estate, il teatro d'inverno, l'associazione con il progetto.
L'elenco di ciò che si è fatto a Torino è sterminato, probabilmente più che in ogni altra parte d'Italia.
Lavori encomiabili portati avanti da professionisti spesso mal pagati a cui si deve un dovuto ringraziamento.
Ma cosa è tutto questo se non toppe, "rammendi", su un tessuto che si sfrangia e strappa? Un tessuto logoro, vecchio, evidentemente al limite, in cui non si capisce più quale sia l'ordito sociale che in esso si sviluppa.
Domanda da tavolo di lavoro pensoso: che cosa si intende per risanamento? Gli interventi sopra elencati? Noi la chiamiamo "ideologia del rattoppo".
Diamo un'occhiata al rapporto su Torino 2014 del Comitato Rota. A pag 183 troviamo questo grafico che solo pochi mesi fa ha fatto infuriare il buon Fassino.


Commento in calce: "Se fino a trent’anni fa le differenze di speranza di vita tra chi viveva nelle zone ricche e chi in quelle povere erano stimabili in 3,2 anni per gli uomini e 1,4 anni per le donne, a metà degli anni Duemilatali distanze risultano cresciute: 4 anni nel caso degli uomini, 2 nel caso delle donne (Servizio Epidemiologia ASL TO3 2009)."

1984-2014
Non serve alcun commento al grafico, che dimostra plasticamente cosa è accaduto sul campo, al di là della retorica dello rattoppo.
Sono i trenta anni di "trasformazione" torinese, l'epica della rinascita, l'epopea della città grigia che smette gli abiti tristi e grigi dell'industria e si apre al mondo, felice e gaudente della promozione culturale., degli eventi, delle feste, delle spine che riqualificano, di tutto.
Sono i trenta anni in cui una massa di denaro, senza precedenti in Italia, è piombata sulla città.
Senza precedenti e senza possibilità di ripetizione.
Sono i trenta anni in cui il volontariato ha sostituito il lavoro nel campo sociale e la beneficenza, di origine bancaria (Compagnia in primis), il welfare state. Una valanga di denaro che certamente è servita a rinnovare il look del centro "buono" della città, ma che in gran parte ha finanziato eventi sporadici o addirittura una tantum (vedi le tanto osannate Olimpiadi) che ci hanno lasciato una quantità di strutture ormai in completo abbandono, e di involucri edilizi che la "lungimiranza" dell'amministrazione comunale non è nemmeno stata capace di riutilizzare per tentare di colmare almeno parzialmente il forte bisogno abitativo espresso dalle fasce sociali più deboli. Anzi se ne era proprio dimenticata se non fosse stata riportata alla attenzione di tutti nel momento in cui coloro che ne avevano urgente bisogno lo hanno sottratto al totale decadimento cui era destinato, occupandolo. E di nuovo tutti pronti ad indignarsi per questa azione di forza mentre per lo sfascio si chiude volentieri un occhio.
La cosa vagamente tragica e comica è che tutto questo è accaduto in un tempo in cui lo Stato Sociale non era demonizzato come oggi. Non osiamo quindi pensare a cosa sarà il futuro in cui la "sottoclasse" - "società dei due terzi" potrà godere delle magnifiche sorti progressive dello smantellamento in corso dello Stato Sociale.
Qualche numero per capire cosa è accaduto. Dal 2001 al 2011 a Torino sono arrivati 13 miliardi di euro, circa 15.000 euro a testa circa. E' evidente che le riqualificazioni torinesi che hanno tratto origine da questa ciclopica massa monetaria, generando un debito che solo chi l'ha contratto continua a definire "buono", hanno avuto particolare portata, e successo, nelle zone centrali, mentre i sostanziosi rimasugli spesi nelle periferie hanno dato origine a punti di paradiso all'interno dell' inferno dei viventi.
Questa è politica del territorio basata su una ideologia nettamente di classe.
Si può leggere sempre sul Rapporto Giorgio Rota 2014:
"Negli ultimi anni, a Torino il numero di posti letto negli istituti di cura pubblici e privati è diminuito e il livello di ospedalizzazione si è ridotto, risultando uno dei più bassi fra le province metropolitane; il tasso di utilizzo dei posti letto è superato da tutte le altre metropoli del Centronord."
A questo punto risulta doveroso chiedersi quali siano i fattori che agiscono con maggior forza sulle periferie. Gli zingari che rubano o questa politica  tardo ottocentesca imperante? 
Questo è quanto avvenuto, questa è la crisi delle periferie. Non gli zingari.
Se si chiudono gli ospedali, si precarizza il lavoro, e si consente alla speculazione di debordare, succede che nelle periferie si sta  materialmente peggio, e la riqualificazione rammendo non rappresenta che una trappola.
Per nobilitare l'ideologia dell'intervento spot di questi gloriosi trenta anni possiamo costruire cieli di astrazioni simboliche, possiamo articolare periodi utilizzando un lessico pieno zeppo di inglesorum alla don Abbondio, e poi immagini evocative, esempi, slides, rendering, conferenze stampa, testimonianze di gente felice di vivere in periferia e grata per la nuova bellissima fontana.
Ed è questo il problema: l'ideologia dello spot, del Renzo Piano archistar-senatore-compagno illuminato che si mischia ai poveri in nome di una munificenza divina e sacra, ha portato al disastro sociale delle periferie, ha devastato gli orizzonti percettivi. Viviamo dentro favole che amiamo raccontarci.
Ma siamo dentro un romanzo di Ballard e lo sappiamo tutti.

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