domenica 9 novembre 2014

Rievocazioni & attualità: a volte si dimettono (spintaneamente)

E’ il 26 marzo del 2006. I luoghi sono quelli che una volta erano una località amena della Valle di Susa: “i laghi di Bruzolo”. Ma ormai già embrione di quel capannonificio destinato a moltiplicare non i pani (nonostante vi abbia sede anche la panetteria industriale di valle), e nemmeno i pesci visto che i laghi erano già stati interrati, riempiti dalle scorie delle vicine acciaierie – molti anni prima…Ma il valore dei terreni sì: acquistati con largo anticipo da chi sapeva che di li - in mezzo a quei “vernetti” alluvionali - sarebbe passata l’autostrada. E allora via i campi fertili là dove un tempo veniva persino coltivato il riso (alcuni toponimi sopravvivono sulle carte geologiche: “pra molle”, “la risera”) per farne cave di ghiaia per i rilevati dell’A32 dell’onorevole Francofroio. Gli stessi prati usati poi (senza scrupoli ma a pagamento) per sotterrarci rifiuti tossici. E successivamente ceduti ad attività edili e industriali legate al contesto in via di degrado. E infine i capannoni d’oggi d’aspetto desolato e di contenuto desolante: cartelli “vendesi” alle finestre, nessuna o poche attività intuibili, e la polvere – tanta polvere con magari in sospensione diossine residue e il pcb smaltito in modo criminale. Polvere sollevata in gran quantità dai camion delle società di manutenzione dell’autostrada e del movimento terra del cunicolo di Chiomonte.
C’è un gran fermento quella mattina tra i capannoni e le baracche di cantiere. Il primo sole primaverile invita alla scampagnata, è una delle ultime domeniche prima della settimana santa, e al posto dei camion sono i pulman a mettere la freccia a sinistra arrivando da Torino e dintorni attraverso la statale 25. Ma torniamo a quella mattina di primavera: la notizia si diffonde in fretta e centinaia di cittadini con la bandiera No Tav accorrono nell’area come ogni volta in cui – dopo pochi mesi dalla “riconquista di Venaus” e l’occupazione del cantiere che vi era stato collocato – si avvistano movimenti “sospetti”. Ma l’apparenza dovrebbe essere delle più tranquillizzanti: da decine di bus scendono intere famiglie coi cestini del pranzo; alcuni bambini, che si guardano attorno stupiti. Chi li ha invitati a quella “gita fuori oporta”– scopriremo poi - sono impresari, sindacalisti e politici – li hanno invitati si a una scampagnata, ma con comizio (anzi, comizi: ci sarà il presidente della provincia Saitta, e Rosso, l’astro nascente di Forzitalia – oggi tramontato - e un ospite misterioso ma mooolto importante)…
Nonostante il clima mite non fu una bella giornata: fu forse la prima volta che i “proponenti la Grande Opera” tentarono di creare in laboratorio quel conflitto tra cittadini - lavoratori (dell’edilizia) e cittadini residenti “nel cantiere” che di li a qualche anno sarebbe divenuto endemico attraverso l’uso sistematico della falsa propaganda e le politiche di austerità pro finanza e contro il lavoro di cui loro stessi (i “proponenti”) sarebbero stati i primi responsabili e gli “utilizzatori finali”. 
Ma tornando a mister X (colui che si era assunto il compito di essere la star di livello nazionale di questo “progetto” di società degradata, oltre che di quello destinato a degradare territorio e ambiente), arrivò di li a poco in una Lancia Thesis grigia, blindata, scortata e coi vetri oscurati, che fu subito circondata e coperta da bandiere. Una signora col make up del potere (che sedeva accanto all’autista in livrea) si limitò a far scendere di un filo il finestrino per sibilare con un tono freddo e minaccioso che non potevamo nemmeno immaginare chi fosse la personalità seduta sul divano posteriore. Poi l’auto si impennò per la brusca retromarcia imposta da chi guidava su evidente ordine dell’illustre passeggero. Costui aveva probabilmente realizzato fosse meglio andare a pranzo in qualche ristorante à la carte lasciando i panini e il vino in cartoccio agli operai che non è bene che si abboffino in quaresima.
Qualche giorno dopo si venne a sapere chi era il potente membro della casta romana approdato in Val di Susa, ma a tutta prima il nome non fece una grande impressione: un tal Raffaele Bonanni, chi era costui? Lo avremmo scoperto di li a poco con la sua elezione a segretario generale del secondo sindacato della “triplice”, la CISL… Lo capimmo poi meglio ancora dall’acredine (evidentemente vendicativa e ancora inusuale all’epoca) che mise nelle sue prime interviste citando ripetutamene “i No Tav” (sempre a sproposito, naturalmente).
Ma nei sette lunghi anni del suo regno incontrastato, oggi appena trascorsi, chi ha capito meglio (anche un po’ troppo tardi), cosa e chi è stato, sono soprattutto i lavoratori che dal suo alacre lavorìo di divisione sono usciti indeboliti come non mai da quando esiste il movimento operaio; e tra loro ci sono alcuni che lo stanno capendo ancora meglio in questi giorni: sono gli iscritti o simpatizzanti CISL, i dirigenti per bene del maggior sindacato cattolico del nostro paese. La sua uscita di scena anticipata e con una coda che si avverte tanto più rumorosa per il silenzio assordante che l’ha preceduta ne è la dimostrazione inconfutabile. 
Perché dopo la cacciata da segretario generale, l’ingombrante personaggio ha dovuto abbandonare anche l’incarico di “buona uscita” che non si nega a nessuno: “Alla fine non ce l’ha fatta a sostenere lo sguardo dei suoi. Così Raffaele Bonanni ha preferito dimettersi da direttore del Centro Studi della Cisl con una lettera alla neo-segretaria generale, Annamaria Furlan” – scrive sul Fatto Quotidiano del 5 novembre Salvatore Cannavò, aggiungendo una adeguata dose di veleno in un articolo che la neosegretaria deve aver diffuso in ogni dove, per raffreddare le polemiche roventi scoppiate soprattutto dentro l’organizzazione. Quasi una rivolta dopo che si era diffuso l’ammontare del compenso annuo per l’incarico al servizio dei lavoratori: 336mila euro dichirarati nel 2011! Compenso grazie al quale oggi risulta titolare di una pensione di 5.122 euro netti mensili! (lo ha confermato lui stesso con una lettera al giornale). Il prezzo per la premasticazione e per la rumorosa digestione della Riformafornero e di tutti i compromessi nell’interesse della finanza e contro quelli di chi avrebbe dovuto difendere – i lavoratori - firmati in questi anni assieme ai due compari di viaggio tuttora aggrappati alle sedie.
Claudio Giorno
Borgone Susa, 6 novembre 2014

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