Quasi un anno fa ho letto il primo libro di Maurizio Pagliassotti, “Chi comanda Torino”, un titolo che, da solo, sfonda il muro della sordità in una città in cui il dissenso della maggior parte dei cittadini si riduce alla lamentela da bar e il resto viene relegato con un feroce un-fair-play tipicamente sabaudo nelle categorie sociali preconfezionate di “quelli che non sanno”, “quelli che sono contro a priori”, “quelli che strumentalizzano”, insomma, le categorie “nemiche” utili a una narrazione politicante che ha fatto strame e marketing della parola “democrazia”, che senza opposizione e dissenso è solo un’altra variante, magari più morbida magari no, di una dittatura del Pensiero Unico.
Ho avuto la fortuna di conoscerlo, Maurizio Pagliassotti, un giorno, nel cuore di uno dei centri ormai decaduti della rinascita modaiola e urbana: il Quadrilatero Romano di Torino, ferocemente descritto nel bel libro di Giuseppe Culicchia “Brucia la Città”, ovviamente fuori catalogo. Da quel giorno ho avuto l’onore di seguire la stesura di questo suo secondo libro, stavolta un romanzo, “Sistema Torino, Sistema Italia”.